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Il racconto

Dalle poste all'oro
L'epopea di Paola,
leggenda veronese

Il racconto
Due immagini di Paola Pezzo
Due immagini di Paola Pezzo
PAOLA PEZZO STORY

Paola non mangiava. Era magra e senza appetito. Mamma Solidea era preoccupata. «Le faccia fare sport», le consigliò il medico.

Metà degli anni Settanta, colline della Lessinia. Paola iniziò con il fondo. «Avevo otto anni quando misi per la prima volta gli sci ai piedi. Per me era un gioco e mi divertivo moltissimo», racconta la due volte campionessa olimpica. Annata a cinque cerchi, il 1969 di Bosco Chiesanuova.

«Ero in classe con Bubo Valbusa. Non eravamo degli studenti modello anzi, i professori erano arrabbiati perché non avevamo voglia di studiare ed eravamo spesso assenti per le gare». Ultima di tre figlie femmine, Paola cresce tra alberi, boschi e vie del paese. «Mia mamma Solidea era inserviente nelle colonie della zona, mio papà Anacleto muratore. Noi bambine non eravamo mai in casa», spiega, «quando nevicava il bob diventava il nostro migliore amico. In estate invece ci sfinivamo tra corse e giri in bicicletta. A Bosco poi c’era il Peppo, appassionato di ciclismo. Faceva il dentista e, anche quando lavorava alla poltrona, indossava le scarpe da bici. Aveva comperato un gran numero di biciclette per noi bambini, le teneva nel suo garage. Al pomeriggio lo aspettavamo e, quando chiudeva lo studio, andavamo in giro in bici, lui davanti ad aprire il corteo, noi bambini dietro e guai a superarlo».

Aveva quattordici anni Paola Pezzo quando capì che, dallo sci di fondo, potevano arrivare grandi soddisfazioni. «Ho iniziato a vincere, mi veniva facile. A diciassette anni mi aspettavo la convocazione in nazionale ma non è mai arrivata e sono ancora in attesa di sapere il perché». Con l’amarezza in bocca, Paola inizia a lavorare alle poste centrali a Verona e di sera fa l’aiuto cuoca. Ma era solo questione di tempo. «Un giorno mi chiamò il Peppo, voleva vedermi. Aveva un regalo per me. Quando sono arrivata da lui mi ha aperto il solito garage in cui teneva le due ruote. Dentro c’era una bici strana, mai vista prima».

Era uno dei primi modelli di rampichino. «Lui mi disse ‘Tieni, provala, è tua. Secondo me questo è lo sport che fa per te’ e aveva ragione». Paola Pezzo si affeziona subito a quel nuovo modello di bici. «È stato amore fin dalle prime pedalate perché c’era da far fatica, tanta, e io con la fatica mi esalto. Andavo fortissimo, soprattutto in salita. Ho iniziato a gareggiare e sono arrivati subito i risultati». Tra una pedalata e l’altra, Paola lavorava il necessario per racimolare i soldi per pagarsi i viaggi all’estero, dove andava per conoscere le avversarie.

«La concorrenza era soprattutto in Canada e in America. Da qui non avevo modo di vedere come si allenassero così lavoravo qualche mese e poi via, a studiarle sul campo». La passione per le due ruote le fece rifiutare anche il posto fisso. «Era il 1990 e arrivò la proposta di assunzione a tempo indeterminato alle Poste. Ho ringraziato e detto ‘No, grazie’. Preferivo restare a tempo determinato. Ero più libera. Se avessi accettato non avrei potuto viaggiare così spesso e continuare ad allenarmi. Ho rinunciato al posto sicuro. Mi diedero tutti della pazza». Tre anni dopo l’azzardato rifiuto, i risultati le diedero ragione. Era il 1993 quando Paola Pezzo vinse il suo primo mondiale. Il resto, è leggenda.

Con la conquista del tetto del mondo arrivò anche un contratto che le permise di lasciare definitivamente le Poste per iniziare a fare la ciclista professionista. E dopo soli quindici giorni dalla medaglia d’oro, la mountain bike venne inserita tra gli sport olimpici. «Il mio sogno era andare alle Olimpiadi con gli sci, ci sono andata con la bici. Ho vinto ben due medaglie d’oro. Ma se non ci fosse stato il Peppo, con il suo regalo, tutto questo non sarebbe di certo accaduto». Sposata con l’ex velocista ‘cavallo pazzo’ Paolo Rosola - 14 tappe conquistate in carriera al Giro D’Italia e oggi membro dello staff della quadra di ciclismo russa Gazprom -, Paola Pezzo ha due figli, Kevin di 15 anni e Patrik, di 10. «Kevin fa multidiscipline con la MB», spiega orgogliosa mamma Paola, «e a gennaio si è classificato terzo ai campionati italiani di Roma. Patrik invece gioca nei pulcini del Chievo. Hanno il doppio cognome Pezzo Rosola», conclude, «perché con la fatica che facciamo noi donne credo sia più che giusto portino entrambi i nomi di famiglia».

Serena Marchi

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