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Premio Ussi: intervista a Luca Garritano

«Per il Chievo ho dato tutto, non lo dimentico. I veleni dell'addio? Sono un professionista...»

La premiazione di Garritano
La premiazione di Garritano
La premiazione di Garritano
La premiazione di Garritano

La distanza, in questo caso, non ha ucciso il sentimento. Anzi. E Luca Garritano, una delle icone dell’ultimo Chievo, una macchiolina gialloblù in fondo al cuore ce la deve ancora avere se non ha esitato a farsi i seicento chilometri che separano Frosinone - dove gioca oggi - e Vicenza, dove ha ritirato il suo riconoscimento come top player dell’undici della Diga, annata 2020-’21.
La conferma dell’attaccante è immediata, genuina. E venata di apprezzabile nostalgia: «Sono stati tre anni belli, intensi», spiega. «Sono legato a Verona come città e affezionato alla società Chievo Verona, che mi ha permesso di esprimermi al meglio come calciatore».


Resta quell’addio maturato in circostanze un po’ particolari. Con una punta di veleno in coda... E le critiche per quelle amichevoli saltate in ritiro.
«Questa cosa lascia un po’ il tempo che trova. Io credo di aver fatto il professionista fino all’ultimo giorno. Giustamente mi allenavo nelle migliori condizioni possibili sperando che arrivassero notizie positive dall’esterno contro input regolarmente negativi. E a un certo punto la gestione è diventata personale, almeno così la penso».

Ovvero?
«Fare le partite comporta anche un uno per cento di rischio di farsi male. Un rischio da valutare. Questo per me è un lavoro e non dimentico di essere anche un padre di famiglia. E prima di giocare dovevo mettere sul piatto tutti questi elementi. Chiarisco però: l’unica cosa che non facevo era la partita perché mi allenavo sempre, e con la stessa intensità, tutti i giorni, mattina e pomeriggio». 
Oggi uno legge le formazioni di vertice di B e scopre che c’è un po’ del vecchio Chievo ovunque. E che addirittura due riserve come Bertagnoli e Cotali fanno i titolari di formazioni che puntano alla B, che De Luca segna e fa segnare, che Leverbe è inamovibile nel Pisa rivelazione. E via dicendo. Evidentemente l’ultimo Chievo era davvero forte...

«La nostra qualità e il nostro spirito erano importanti. Giocatori forti, staff forte. E tutto è finito a Venezia in una partita decisa da episodi».


Scomodiamo il ricordo...
«Quella partita ci è andata veramente male. Siamo andati due volte in vantaggio. Dopo 10’ potevi addirittura essere già sul 2-0, poi hai preso il palo sull’1-1. Addirittura l’ultima occasione dei regolamentari l’abbiamo avuta noi: se facciamo gol lì finisce la partita, andiamo in semifinale e chissà come va a finire».

Quanta amarezza le è rimasta per quella serata lì? E quanto aiuta essere ormai proiettato in un’altra avventura, promettente come quella di Frosinone?
«Oggi gioco lì e penso alla prossima col Frosinone. Rimpianti col Chievo? No. Perché abbiamo dato tutto e siamo usciti per colpa di episodi che ci sono girati contro. E in ogni caso ho un bel ricordo del Chievo e di quelli che giravano attorno al Chievo. Belle persone che continuo a sentire e con cui ho vissuto una splendida avventura».

Venezia resta il momento più brutto della sua esperienza in gialloblù o ci sono state delusioni anche più cocenti?
«Il più grosso dispiacere secondo me è stato il 3-1 di La Spezia nella finale playoff dell’anno scorso dopo il 2-0 dell’andata. A Spezia alla fine della partita eravamo tutti in lacrime. Compresi mister, presidente e direttore».

Avendo dato tutto in campo.
«Certo, là avevamo davvero raschiato il fondo del barile, arrivando a giocarci la A con tredici, quattordici persone. Certo dopo l’andata vinta 2-0 si poteva far meglio».

Il momento più bello invece?
«Ce ne sono stati tanti. Penso alla cavalcata finale, sempre nel 2020, con quelle tre vittorie consecutive e con i miei due gol che ci permisero di andare ai playoff, tra l’altro da una buona posizione».

Quindi l’Empoli...
«Bella sfida, bellissimo momento e meritata qualificazione alla finale con lo Spezia. Un periodo magico».

Qual è la cosa più importante che ha imparato stando al Chievo?
«Il Chievo mi ha insegnato a vivere assieme dentro il gruppo squadra, quotidianamente, come dentro una famiglia. L’uno per l’altro. Sacrificandosi e condividendo le emozioni del campo. Al Chievo capivi che anche il magazziniere, il fisioterapista... Che tutti tenevano parecchio al risultato. Una cosa bellissima».

E Garritano cosa pensa di aver dato al Chievo?
«Io ho dato tutto me stesso. Posso dire di averci messo testa, anima, gambe, cuore».

Nel frattempo a Verona si è creata questa strana situazione con il Chievo in stand by, per così dire, e la nascita della Clivense di Pellissier. E la tifoseria spaccata. Garritano da che parte sta?
«Queste divisioni non mi fanno impazzire ma capisco la voglia dei tifosi di tornare allo stadio, o al campo sportivo, perché in fondo il calcio è sempre quello... Dall’altra parte fa strano non avere il nome, lo stemma, il logo».

Un messaggio per Luca Campedelli?
«Io mi auguro che stia bene e gli auguro di sistemare le cose che gli sono andate storte anche nella sua vita. È una persona ricca di passione verso il calcio, verso il Chievo. Vedere in difficoltà una persona che al Chievo ha dedicato la vita non mi fa piacere».

Ultima domanda: ci andate in A o qualcuno ve la porterà via anche quest’anno?
«Bella lotta. Noi abbiamo un gran bel gruppo e siamo in via di sviluppo. Diciamo che possiamo dire la nostra, dopo di che gli obiettivi arrivano pian piano. È ancora presto per sapere chi siamo e chi vogliamo essere. Risentiamoci a marzo...». Fr. Arioli

Francesco Arioli

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