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Amarcord Chievo

Melosi rievoca Reggio «Il palo e poi Ballotta: una parata... indecente»

Cerbone contrastato  nella gara del novembre ’98 FOTOEXPRESSMarco Veronese ha appena spedito nel sacco la palla del pari gialloblù a Reggio: è il 15 novembre 1998Dicembre 1995: Michele Cossato attaccato da Cevoli e Gregucci
Cerbone contrastato nella gara del novembre ’98 FOTOEXPRESSMarco Veronese ha appena spedito nel sacco la palla del pari gialloblù a Reggio: è il 15 novembre 1998Dicembre 1995: Michele Cossato attaccato da Cevoli e Gregucci
Cerbone contrastato  nella gara del novembre ’98 FOTOEXPRESSMarco Veronese ha appena spedito nel sacco la palla del pari gialloblù a Reggio: è il 15 novembre 1998Dicembre 1995: Michele Cossato attaccato da Cevoli e Gregucci
Cerbone contrastato nella gara del novembre ’98 FOTOEXPRESSMarco Veronese ha appena spedito nel sacco la palla del pari gialloblù a Reggio: è il 15 novembre 1998Dicembre 1995: Michele Cossato attaccato da Cevoli e Gregucci

Guardia sempre alta, non solo perché il Chievo a Reggio Emilia - teatro della terza di campionato, domani pomeriggio - non ha mai vinto. Il passato è scritto, il presente non del tutto. Lello Cerbone lasciò il segno allora. «Rigore ad Abate, fu l’inizio di un ottimo periodo. Giocavamo bene, con Baldini eravamo in buone mani», il suo nitido ricordo, tutto giusto perché dopo quel pari del primo marzo di 22 anni fa il Chievo ne vinse tre di fila. La prima volta non andò benissimo invece. Dicembre del 1995, quando decisivo fu il gol di Tangorra fino a giugno tecnico del Barletta. In porta c’era Marco Ballotta, portiere fino a 43 anni, oggi a 56 presidente del Castelvetro nell’Eccellenza modenese. Sempre in testa a tutte le classifiche di longevità. «Era una strana novità il Chievo. Tutta da scoprire. Con un gioco però già moderno e la guida di Malesani. Dico la verità, nessuno avrebbe potuto mai immaginare che il suo percorso fosse solo agli inizi e che da lì a poco la società si sarebbe radicata in Serie A rimanendoci tanto a lungo. Ma i meriti di Campedelli furono indubbi, così come le capacità dell’intera dirigenza. E quindi tutto meritato», il flash di Ballotta che Malesani l’avrebbe incrociato più avanti al Modena. Anche Cerbone è in Eccellenza, nella sua Sardegna, al timone dell’Arzachena appena finito sotto il controllo dello Spezia e di Gabriele Volpi. Reggio Emilia è distante ma alla fine neanche tanto. «Andare al Giglio era diverso. Non era come tutti gli altri stadi. Aveva qualcosa di differente. Di genuino. C’era un particolare gusto nel giocarci. E la Reggiana di allora era sempre tosta», il riassunto di Cerbone, osso duro ma non abbastanza da impedirgli di segnare una doppietta quand’era alla Spal, nel 2002, quando il suo primo partner d’attacco era il giovane Pellissier. PERCORSO SCRITTO. Ballotta dà un’occhiata all’immediato. «La Reggiana ha tutto per salvarsi, magari può ottenere anche qualcosa di più anche se adesso, dopo due giornate, non si possono fare previsioni. La proprietà però è sana. L’ho avuta al Modena, sanno cosa vogliono e come ottenerlo. Di sicuro non intendono essere una comparsa», l’identikit di Ballotta, nel 1995 numero uno della Reggiana anche dei vari Gregucci, Orfei, Cevoli, Schenardi, Strada, Leo Colucci e Simutenkov. Il Chievo di oggi? Senza mezze misure. «Con la storia che ha saputo costruirsi», il ragionamento di Ballotta, «diventa quasi automatico porsi dei traguardi di un certo tipo. È il minimo sindacale per il Chievo provare a tornare in Serie A. Non si scappa. Per di più non vedo tutti questi autentici squadroni. E l’abitudine a stare a certi livelli alla lunga non può che diventare un valore aggiunto», la sentenza di Ballotta, perentoria almeno quanto la sua deviazione su Melosi in quella battaglia del 1995 a due passi dalla porta. «Prima presi la traversa, poi sul calcio d’angolo successivo fece una parata... indecente. Ma lui quei guizzi li aveva», scherza Melosi, oggi tecnico al Pontisola, partito col freno a mano tirato e ancora senza punti dopo le prime tre giornate. POCHE ILLUSIONI. Dalla Costa Smeralda l’orizzonte di Cerbone non è così colorato. «Per il Chievo questo è soprattutto il momento di tener duro, di guardare sì verso i playoff ma facendo molta attenzione alle insidie del campionato», l’avvertimento di Cerbone, 37 gol in 102 partite a Veronello di cui 20 nel 1997, la stagione del settimo posto con qualche rimpianto, l’ultimo canto di Malesani poi chiamato dalla Fiorentina di Batistuta e Rui Costa. Quando il Chievo ad un certo punto si sentiva fortissimo. Quasi padrone del proprio destino, anche se poi in A ci andarono Brescia, Empoli, Lecce e Bari. Altra storia ora. Tre partite, due punti a Reggio Emilia. L’ultimo il 15 novembre del 1998, 1-1 coi gol di D’Aloisio e il pari di Marco Veronese, che adesso allena la Primavera del Parma. Torna sull’attualità Cerbone. Sempre serio, come se fosse ancora in area di rigore. Con un pallone da buttar dentro, con il solito lucido istinto del bomber che non invecchia mai. «Era un altro calcio, sotto tanti punti di vista. La B è scaduta, ma questo non vuol dire che non ci siano buone squadre. In un periodo così», il suggerimento di Cerbone, «cercherei soprattutto di guardarmi le spalle, di tenere dritta la rotta, di essere ambiziosi ma anche di tenere i piedi per terra. Ci penserà Aglietti a conservare l’equilibrio. Non ho dubbi. Mi piace lui. Pragmatico, sempre ad affrontare di petto i problemi senza girarci troppo attorno. Concreto fino in fondo, sbrigativo, essenziale. E così dovrà essere il Chievo, fino alla fine. Basta un attimo per smarrirsi». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandro De Pietro

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