Voleva lui Aglietti. Lui più di ogni altro. Sapeva che Ciciretti era diverso. Non è solo questione di talento, c’è molto di più. Magia pura, figurarsi in B dopo essere stato uno dei prescelti dal Napoli per duettare con Insigne e Mertens. Ritenuto all’altezza per parlare quel linguaggio di calcio. Per tornare a dipingere traiettorie delicate come faceva a Benevento, senza riesumare i suoi trascorsi da predestinato alla scuola della Roma e prima ancora della Lazio. La sua è anche una storia di riscatto, di chi ritrova all’improvviso il tempo perso fra un rimbalzo e l’altro. Capita quando si viene catapultati ai livelli più alti, quando dalla periferia di Roma e dalla provincia ci si imbatte in un gioco diverso. Dove il potere non ce l’ha solo il pallone. Dove tutto è più grande. C’è voluta un’abile opera diplomatica per portarlo a Veronello, per guadagnare la fiducia del Napoli. Lui s’era già convinto, sicuro che avesse bisogno di pace e serenità per ripartire come si deve. Quindi del Chievo. LUNGO VIAGGIO. Le perle all’Entella non sono casuali. «Vero, la mia miglior partita da quando sono qui. Merito dei compagni perché vince sempre la squadra, ma anche di una condizione fisica che sta crescendo», il primo affresco di Ciciretti dopo essersi preso un sacco di applausi a scena aperta anche col Bentegodi vuoto. Di altra pasta il Chievo con la sua arte. Non solo per il gol, non solo per il palo, non solo per le luci che sa accendere. Senza troppo guardare oltre. Speranze di riscattarlo non ce ne sono. Neanche una. Viaggia troppo alto Ciciretti, un solido contratto col Napoli in tasca ed un ingaggio di quelli fuori dalla portata del Chievo. Prestito secco, senza troppi margini di manovra. A meno che il campionato del Chievo l’anno prossimo non sia un altro. ISTINTO E RAGIONE. Ciciretti è il collante fra frenesia ed equilibrio, la miscela fra il colpo ad effetto ed il disimpegno mai banale, il compromesso fra la giocata irriverente e l’utilità di un passaggio al compagno a due metri. Senza di lui il Chievo non sarebbe questo, non si sarebbe diretto a testa bassa verso il possesso palla spinto quasi all’eccesso. Non bastava mettere dall’altro lato Garritano, miccia che s’accende più in fretta di lui ma che va riequilibrata dall’altra parte con qualcosa di più sottile. Con uno che ragioni anche, pur senza togliere nulla alla sua inventiva. Di uno che sappia quando è il momento di accelerare e quando invece è meglio frenare un attimo. Un regista aggiunto, quello da cui vai volentieri al momento del bisogno perché lui la soluzione giusta la troverà di sicuro. Non solo per quel che gli ha donato Madre Natura, non solo per il suo desiderio ardente di dimostrare al Napoli che in fondo lui coi campioni può starci davvero. VERSO VICENZA. Ha già vinto Ciciretti. Sa che fermarsi è proibito, soprattutto adesso. Il Vicenza è già domani, poi Ascoli, Cittadella e Pescara quando gennaio non sarà ancora finito. Quando il Chievo riavrà Canotto, ormai col resto del gruppo e pronto a dar manforte alla catena di destra. Ciciretti è già al Menti, senza troppo pensare a quel che è stato con l’Entella. «Squadra rognosa il Vicenza. Tignosa. Sappiamo però cosa fare. Quindi muovere il pallone, quindi farli viaggiare da una parte all’altra, semplicemente continuando ad essere noi stessi. Questo gioco ci piace. Ci diverte. Adesso però dobbiamo tramutare tutto in punti», la concretezza di Ciciretti. Questione di classe, magari mostrata ad intermittenza ma sempre limpidissima. Aveva ragione Aglietti ad insistere quest’estate. Con lui è un altro Chievo. E il bello deve venire. «Da lui mi aspetto ancora di più», il passo in avanti di Aglietti, scorgendo quei margini non ancora del tutto esplorati di uno che in B non può restarci a lungo. •