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Il funerale

Macola, ci hai fatto piangere. Il Chievo è tornato per Rinaldo Danese

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Striscione al funerale del Macola (FotoExpress)
Striscione al funerale del Macola (FotoExpress)
Funerale del «Macola» (FotoExpress)

Li ha fatti ridere per una vita. Si è preso le loro lacrime per un giorno. Senza chiederlo, in silenzio. L’uscita di scena è stata elegante. E a Rinaldo Danese, Macola per tutti, é riuscito anche il miracolo di riunire ieri a Chievo le tante anime di un club che non c’è più. A modo suo avrebbe voluto, per questo ultimo saluto, sorrisi e battute sarcastiche.

Sarto di se stesso, compagno di vita per 60 anni del suo Chievo. Testimone oculare di un viaggio incredibile iniziato sui campetti di casa nostra. E concluso tra l’Europa e le stelle. Con finale fuori copione.

 

Ultimo saluto.

Macola, classe ’35, è stato ricordato ieri mattina alla parrocchiale di Chievo. La chiesetta di Sant’Antonio Abate ha contenuto a fatica il grande affetto di parenti e amici. Fuori il mondo Chievo. Tutte le epoche. Capelli grigi, ricordi dolci. In molti non hanno voluto mancare all’ultimo saluto con Macola. C’era Luca Campedelli, rimasto sul sagrato ad accompagnare Rinaldo. C’erano alcuni suoi allenatori e compagni di viaggi: Malesani, Corini, Pillon, Maran, Nicolato. C’erano anche i giocatori (tra gli altri) di un passato che fu: Moro, Lanna, Sardo. C’erano i dirigenti storici: Marco Pacione su tutti. Lo storico magazziniere Silvano Danese. C’era il vecio Ceo. C’era l’eleganza composta dell’avvocato Marco Bisagno, amico da sempre del club della Diga. C’era anche lo storico segretario Michele Sebastiani. E pezzi di un Chievo fatto di preziosi cristalli di Boemia: Giovanni Sartori e Maurizio Costanzi. Sotto le mascherine, sicuramente, ce ne siamo persi tanti altri. Tutti lì per l’ultimo saluto al Macola. Naturalmente, c’era Sergio Pellissier, che il Chievo lo vuole tenere ancora in vita, e oggi percorre la sua strada.

 

Silenzio elegante.

Sole imbronciato, autunno tenue a Chievo. La compostezza dei familiari di Macola. Un sobrio dolore, una dignitosissima commozione. Attorniati da visi antichi e occhi carichi di nostalgia i celebranti don Antonio e don Arnaldo hanno ricordato che Rinaldo vedeva il mondo con gli occhi di un bambino. Sempre pronto a schernire il sapientone di turno». Elegante tra gli eleganti, tanto che pure dall’altare viene facile pensare che «el nasea anca in leto con la giacheta e la cravata».

 

Stesso destino.

Macola è uscito di scena a pochi mesi di distanza dal suo Chievo. A volte il destino va davvero oltre la coincidenza. Hanno salutato insieme. Anche se nessuno dei due avrebbe voluto farlo. Sei anni di differenza tra il Ceo (classe ’29) e il Macola. Anche se il vero fratello maggiore è sempre stato Rinaldo. Che mancherà per i modi, per le battute, per la genuinità, per la capacità di dare un tono di colore anche ad ambienti freddi. Per i tempi comici, per la capacità di sciogliere disagi, per l’ironia sempre benevola. Macola aveva un dono: ti entrava dentro senza chiedere permesso. Con il sorriso tagliato, la cravatta mai fuori posto, l’incedere nobile, e quella sua leggerezza nell’affrontare le cose della vita. Unico, a modo suo.

 

Ricordi e lacrime.

Commoventi, poi, le testimonianze delle nipoti. Di Macola conoscevamo un po’ tutti le doti che emergevano nel week end pallonaro. Uomo di campo, dirigente, team manager, icona anche di un Chievo (il primo) signorilmente provinciale. Senza pretese di grandeur. Un uomo davvero per tutte le stagioni. Ieri, però, abbiamo scoperto l’altro Macola. Quello che si è consegnato alla famiglia. Il marito, il padre, il nonno. E qui ci piace immaginare: Macola, ci siamo dimenticati qualcosa di importante? «Testina, la me canson dove ela finià?». Te ghe reson, Rinaldo. Hai ragione Macola. Sei pronto? T’eto petenà? Dai, che la comincia. E parte el trenin. «Maracaibo, mare forza nove, fuggire sì, ma dove, za za». Per il cielo, Rinaldo. Per tutti, Macola.

Simone Antolini

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