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«La A? Prima c’è la salvezza. Chievo avanti a fari spenti»

Luca Campedelli sfoglia il libro sulla storia del Chievo, scritto da Franco Bottacini FOTO BOLDRINI/CHIEVO
Luca Campedelli sfoglia il libro sulla storia del Chievo, scritto da Franco Bottacini FOTO BOLDRINI/CHIEVO
Luca Campedelli sfoglia il libro sulla storia del Chievo, scritto da Franco Bottacini FOTO BOLDRINI/CHIEVO
Luca Campedelli sfoglia il libro sulla storia del Chievo, scritto da Franco Bottacini FOTO BOLDRINI/CHIEVO

Certe cattive esperienze lo avranno reso «più cinico» (ipse dixit) ma non per questo altre devono avergli tolto il gusto della sana commozione. Soprattutto se l’occasione, come quella di ieri, serviva per presentare (o ripresentare, aggiornata e arricchita) la storia del suo Chievo. Il club le cui vicende si intrecciano strette a quelle della sua famiglia e si identificano soprattutto con gli ultimi decenni della sua vita. A Veronello è il giorno di «1929 Chievo Verona - Una storia di passione», l’ultimo sforzo storiografico di Franco Bottacini, e a Luca Campedelli, presidente (pardòn: patron) del club della Diga tocca sporgersi nuovamente verso un microfono dopo un lungo periodo di silenzio per rivivere emozioni e raccontare pure un pezzo di se stesso attraverso la squadra. Per tornare al mitico 3-3 in casa della Juve o sperimentare nuovamente i patimenti degli esoneri («penso a Domenico Caso perché il primo no si scorda mai ma sono stati tutti sofferti); per rievocare i protagonisti del romanzo, i colpi mancati («Drogba e Cavani») e guardare con tono disincantato (e preoccupato) a un futuro - quello del pallone in generale - offuscato da un sacco di ombre. «Per certi versi questa è la storia non solo del Chievo ma anche della Paluani e di tutti coloro che si sono avvicinati a questa realtà», fa, travisato dalla mascherina anti-Covid. «Quindi anche la storia del povero Saverio Garonzi, di Bruno Garonzi, della famiglia Garonzi, di Carlo Guglielmi. Di tutti quelli che han lasciato un’impronta su questa società mentre questa società lasciava un’impronta a loro». Protagonisti non giocatori «cui aggiungo mio papà e Giancarlo Fiumi. Loro hanno dato l’abbrivio per poter arrivare dove siamo adesso. Loro la scintilla vitale per uscire da un certo modo di essere e andare oltre il calcio dilettantistico». MOMENTI MAGICI. La scelta del momento più felice non crea imbarazzi. Campedelli ci pensa solo un paio di secondi: «L’anno migliore resta ovviamente il primo di Serie A. Era per tutti una scoperta. Io ero ancora più ingenuo di oggi». Ma «tutte le annate sono state importanti per arrivare dove siamo ora». Più facile individuare il calciatore emblema: «Pellissier ha dato cose che nessun altro ha dato», sottolinea Campedelli. «Ma non posso dimenticare Jason Mayelè e la signora Pierina, entrambi vittime dell’incidente di quel disgraziato sabato...». L’emozione positiva più forte rimane quella del 3-3 in casa della Signora, «anche perché venivamo da una rincorsa importante e quella partita lì ci aveva permesso anche di rompere un tabù storico». Atmosfere un tantino distanti oggi che il Chievo naviga - ma a vele spiegate - tra i cadetti. Il che non impedisce a Campedelli di volare umile: «Il titolo del prossimo capitolo? “Io speriamo che me la cavo”», sorride. RINCALZI. Eppure il Chievo oggi è secondo e forse la Serie A un po’ lo rimpiange: «Che il Chievo manchi alla Serie A non lo so, di certo la A manca a me», aggiunge, «ma i favoriti per la promozione dalla B sono altri. Noi partiamo a luci spente e il primo obiettivo è sempre quello della salvezza. Man mano che procederemo magari lo aggiorneremo. Non dimentichiamo il Perugia che l’anno scorso era partito per essere promosso e poi è retrocesso. Noi, ripeto, partiamo in posizione di rincalzo. Per raggiungere le favorite dobbiamo ancora fare un salto di qualità». DENTRO LA STORIA. Campedelli si confessa sfogliando le oltre seicento pagine di libro. E come sempre snocciola potenziali titoli, in serie: «La prima cosa che mi viene in mente rileggendolo è che sono diventato vecchio. In ogni caso dobbiamo essere orgogliosi di aver fatto anche noi, per la nostra parte, la storia del calcio italiano». Anche a dispetto di quella dose di malizia che lui ritiene di avere sviluppato solo col tempo, frutto di qualche incidente di percorso: «Ci sono tante cose che cambierei o che farei in maniera diversa. Per esempio mi sono fidato troppo di certe società, come la Lazio. E parlo del caso Manfredini-Eriberto. Situazioni che ci sono costate quel salto che ci avrebbe portato oggi a un posizionamento come quello dell’Udinese». Insomma, «sarei dovuto diventare un po’ più cinico un po’ di tempo prima. Avrei perso un po’ di poesia ma di sicuro avrei sbagliato di meno». Quanto all’ipotesi di cedere il club, «è sempre d’attualità. Se c’è qualcuno che ha voglia di sostituirmi e di migliorare le cose ben venga. A oggi questo peso non è molto piacevole ma credo che dovrò sopportarlo ancora per anni. Se però dovesse presentarsi Rockerduck, uno che spende, potrei anche pensarci...». La presentazione del libro ha costretto Campedelli a interrompere un lungo periodo trascorso in silenzio: «Secondo me la gente ha cose più importanti da fare che ascoltare me», replica lui, «e poi ritengo ci siano altre persone del Chievo preposte per farlo. Io», insiste, «continuerò a stare in silenzio a meno che non capitino altre cose come quelle con la Salernitana. Allora mi sentivo in dovere di difendere la mia società da palesi ingiustizie». CALCIO IN CRISI. Il pallone, oggi, è in sofferenza e le leghe vanno a caccia di soluzioni. Luca Campedelli non dribbla il tema: «Media company in A? Non la vedo negativa in se ma vedo difficoltà oggettive perché a oggi non si è strutturati per partire con una tv della Lega», spiega. Quanto ai fondi di investimento pro club, «mi allineo a quel che ha detto Galliani: il fatto di non poter accedere a quei fondi, in maniera anche parziale accrescerebbe l’attuale squilibrio. L’argomento è delicato ma è pacifico che l’eventuale ingresso vada gestito a livello di sistema. Almeno a beneficio della A assieme alla B». Del resto «le difficoltà del calcio sono oggettive, soprattutto in B e in C. Sponsorizzazioni quasi azzerate, botteghino a zero... Siamo legati alla drammatica situazione del Paese. Si potrebbero adottare tante misure. Servirebbero interventi coraggiosi, forti, lungimiranti. Il taglio degli ingaggi? Il problema è che ci sono giocatori che hanno contratti stipulati in epoca pre-Covid: come si fa?». La chiusura in una battuta che sa di speranza. E riapre il sorriso: «Un tabellino della storia del Chievo da rendere poster per appenderselo in camera? Quel tabellino deve ancora arrivare...». •

Francesco Arioli

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