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«Genio» parte dal +1 ma «Aglio» non molla. Scontro a Via del Mare

Obi, Rigione, De Luca: il Chievo prepara la missione Lecce FOTOEXPRESS
Obi, Rigione, De Luca: il Chievo prepara la missione Lecce FOTOEXPRESS
Obi, Rigione, De Luca: il Chievo prepara la missione Lecce FOTOEXPRESS
Obi, Rigione, De Luca: il Chievo prepara la missione Lecce FOTOEXPRESS

La prima volta insieme 23 anni fa. Battuti a casa della Salernitana di Delio Rossi. Corini era alla seconda stagione col Verona appena retrocesso in B. Aglietti veniva dal Napoli, otto gol in A e la finale di Coppa Italia persa poi dal Vicenza guidato in mezzo al campo da Mimmo Di Carlo. Proprio lui, trionfatore del derby di lunedì. Vite parallele, figli della classe Settanta, all’anagrafe divisi da un mese e mezzo appena e adesso da destini simili. Più spalle al muro Corini, più libero ma fino a un certo punto Aglietti. Un punto di differenza a favore di Genio, un bell’affare per il Chievo un girone dopo quella notte in cui il Lecce mostrò tutto il suo potere quando dalla panchina si alzarono Pettinari e Falco. Quando la contesa cambiò proprio grazie alle aggiunte in corso d’opera. Secondo il Lecce con tre punti in più, dopo quella notte del Bentegodi. Lanciatissimo. Pronto a prendere il largo, ma poi Corini s’è inceppato e Aglietti ha viaggiato con passo regolare. Accorciando anche distanze tecniche sulla carta piuttosto marcate. Dopodomani la nuova resa dei conti. VITE LONTANE. Cresciuto fra geometrie e tecnica, plasmato da Eriksson, Trapattoni, Guidolin, Delneri sfiorando anche Boskov, Lucescu e Prandelli, ben presto Corini ha dovuto impugnare l’arma della praticità. Proprio al Chievo, in quelle due rincorse tramutate in orgogliose salvezze sostituendo prima Di Carlo e poi Sannino. La prima volta andandosene a fine stagione dopo una lunghissima mattinata in sede a discutere di programmi, l’anno dopo rimasto fino alla batosta con la Roma e sette partite con appena quattro punti ma anche un calendario non proprio semplicissimo con cui fare i conti. A sistemare le cose ci pensò poi Rolly Maran. Aglietti in quel periodo era immerso fra i tormenti di Novara, prima ai playoff e la stagione dopo in C ai playout fra subentri e ritorni. Anche a far brillare la stella di Seferovic, oggi al Benfica. Una delle tante punte fatte splendere dalla mano di Aglio che Corini, dopo la parentesi comune al Verna, l’avrebbe ritrovato al Chievo nel Duemila. Lui lì per sei mesi, Genio già leader e futura leggenda. VERSATILI MA... RIGIDI. Aglietti ha più materiale in archivio, più vissuto, più anni di panchina. Senza però la Serie A che ha solo accarezzato al Verona quando la scelta cadde su Juric e quello status da allenatore di squadre di prima fascia di B che mai nessuno gli ha voluto riconoscere. A torto. A differenza delle concessioni elargite a Corini. Prima al Chievo, poi nella sua seconda casa di Palermo, quindi al Brescia dove la massima serie se l’è presa con le sue stesse mani. Di sicuro a nessuno dei due manca l’elasticità. Corini ha fatto di tutto, trincerandosi al Chievo dietro ad un ferreo rombo ma allargando via via gli orizzonti in base alla materia di vario genere che gli è stata affidata. Anche Aglietti ha sempre prodotto varie versioni di calcio, eclettico ma anche audace. Abituato a produrre tanto con poco, a miscelare pure ingredienti poveri e trasformarli in gustosissimi piatti. A camuffare certi limiti con la manovra, quel che in parte sta facendo ora. Come magari gli avrà suggerito Gigi Simoni, suo maestro a Napoli. O come gli fece capire ben presto Prandelli, incastrandolo sulla verticale di Cammarata nel 4-4-2 solo apparente del Verona che in realtà, con Melis e Brocchi ad accentrarsi, stava già costruendo le prime evolute forme di 4-2-3-1 da cui molti più avanti si sarebbero abbondantemente ispirati. La Roma di Spalletti in primis. TERZO ATTO. Spesso a viaggiare su piani differenti, la prima volta contro da tecnici solo alla fine del 2017. Vinse Aglietti, con l’Entella di La Mantia, Diaw e Dany Mota: 2-1 al Novara di Corini, primo incrocio bissato da quello di tre mesi fa. Gol di Stepinski, Garritano e Falco quando la contesa era ormai in pieno recupero. Di altro livello pareva il Lecce, imbottito di assi fra Coda, Mancosu, Henderson, Lucioni, Majer e Pablo Rodriguez, talento del Real Madrid di Raul che ha vinto l’ultima Youth League anche grazie ad un suo gol nella finalissima col Benfica. Ha spalle coperte Corini, ma anche il peso dell’eredità di Liverani e il ritorno in A da non fallire. Non rimase nel 2013, quando il Chievo era pronto a dargli quello scettro che più avanti si sarebbe preso Maran. Da capitano a mister a lungo termine, scenario solo abbozzato ma cancellato in un attimo quando il più pareva fatto. Più malleabile Aglietti, puntiglioso ma anche pronto a fare un passo verso la società. Basta un disegno serio, come quello dell’ultimo Chievo. Da affinare, arricchire, ritoccare, completare. Nessun problema. Il resto ce lo mette lui. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandro De Pietro

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