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Garritano, nuovo eroe Tre tocchi di magia per la rinascita Chievo

Luca Garritano, classe ’94, tre reti in stagione con il Chievo FOTOEXPRESS
Luca Garritano, classe ’94, tre reti in stagione con il Chievo FOTOEXPRESS
Luca Garritano, classe ’94, tre reti in stagione con il Chievo FOTOEXPRESS
Luca Garritano, classe ’94, tre reti in stagione con il Chievo FOTOEXPRESS

Poco prima di ogni impresa spunta sempre l’uomo della provvidenza. Matematico. Uno che all’improvviso s’eleva dalla massa, ovviamente non il più atteso. Quindi non Vignato, quindi non Djordjevic. Spesso è un incompiuto, quello a cui manca sempre qualcosa per chiudere il cerchio. Almeno fino all’attimo della verità. Uno come Luca Garritano, tre gol e nove punti dopo i soliti sospetti. Troppi. Bravo ma evanescente, uno dei tanti figli dell’Inter nel grande calcio appena di passaggio. Stimolato in continuazione da Zanetti, spesso preso in giro da Cassano, ogni giorno estasiato dalle giocate di Kovacic e Sneijder. Ci ha messo sei giorni Garritano a riconquistare il terreno perduto negli anni, a rivedersi nel talento che lo mandò agli Europei con l’Under 21 di Bernardeschi e Chiesa, a cullare veri sogni di gloria. Troppe aspettative, invece aveva bisogno solo di stabilità, di un ruolo certo. Di rimettere le tende dove vivono le mezzali, soprattutto quelle moderne come lui che amano rompere le linee. Quelle che gli altri vedono quando ormai è tardi. Davanti alla porta. Ha prodotto nove punti di platino Garritano. Tre col Pordenone, soprattutto tre a Benevento e tre col Pescara uno dietro l’altro. E la storia non è finita. DOPPIA GIOIA. Meritava una notte così. Da eroe. Ad unire Verona e Cosenza, mille chilometri raggomitolati dal suo gol che ha permesso alla società che più di tutte ha creduto in lui di sognare ancora la Serie A e alla città in cui è nato, proprio in uno dei palazzi che avvolgono lo stadio San Vito, di salvarsi senza nemmeno passare dai play out. Osannato come d’incanto nella sua Cosenza in festa dove ad ottobre era stato fischiato come spesso capita agli ex. Oppure solo per troppo amore, perché il ragazzino emigrato a Milano carico di speranze e visto in tv titolare in Europa League con l’Inter vicino a Cambiasso, Coutinho e Samuel non poteva essere diventato così impalpabile. L’avevano beccato ad ogni pallone toccato, magari gli stessi che sabato notte hanno riempito la sua pagina Instagram di cuoricini rossoblù. Compresi veri e proprio messaggi d’amore. E almeno un caffè pagato in eterno in ogni bar di Cosenza. Altro che fischi, altro che dubbi. La verità era un’altra. Garritano s’è trasformato in un formidabile grimaldello, corsa continua anche in orizzontale e raid improvvisi verso l’altra area. Variabile pazza e quindi poco inquadrabile, volendo anche attaccante esterno com’è stato col Pescara. In queste condizioni uno così ora può andare dove gli pare. L’ULTIMO SCATTO. «Sempre a testa alta», una delle sue prime regole. Anche quando s’era perso nel mare tempestoso della B, così diverso dalle acque limpide che accarezzano le spiagge della sua Calabria. Anche quando al posto suo giocavano altri, anche dopo essersi mangiato qualche gol di troppo. Sapeva che prima o poi il suo silenzioso lavoro avrebbe rovesciato la storia dalla parte giusta. Come accadde a suo zio Salvatore, tricolore col Torino di Radice, terza punta dietro ai mostri Pulici e Graziani. Spesso nell’ombra perché con quei due davanti non poteva che essere così, fino al gol al grande Albertosi contro il Milan che servì a cucire un ulteriore frammento di scudetto su quelle leggendarie maglie granata. Suo nipote è esattamente così, oggi la digressione necessaria per togliere i gravosi pesi che appesantiscono le spalle di Djordjevic e Vignato. Gli unici terminali di Aglietti, almeno finché è arrivato lui. Appena messo piede a Veronello si mise a studiare Castro. A radiografarne le movenze, a cronometrarne i tempi di gioco, a coglierne l’essenza. Non era pronto invece. Cima troppo alta la Serie A, forse anche adesso. Senza il guizzo felino del rifinitore, senza la gamba tosta del centrocampista che deve anche far legna. Al piano di sotto però il suo calcio oggi è di livello eccelso. POTERE ASSOLUTO. Gli mancava il gol, troppo importante per non sbuffare e guardare verso il cielo ogni volta che c’è andato solo vicino. È capitato a novembre anche a La Spezia, dove il Chievo tornerà se dovesse andare in semifinale. Incontenibile ma fumoso, imprendibile ma una volta di più ingabbiato da sbarre che ne hanno sempre delimitato il tragitto. Ci voleva il momento della resa dei conti per farlo tornare quello che aveva fatto innamorare mezza Serie A dopo i furori di Cesena. Bello a vedersi ma anche tremendamente concreto, una lama nel burro nella difesa del Pescara. Una rasoiata da puro centravanti che ha evitato al Chievo il pericoloso viaggio a Cittadella dove avrebbe solo dovuto vincere per garantirgli il più comodo, in tutti i sensi, trasferimento da Veronello al Bentegodi dove basterà un pari davanti all’Empoli, gara questa tutt’altro che facile. La bacchetta magica ce l’ha in mano lui, più che mai l’uomo del destino. •

Alessandro De Pietro

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