Istruttore di Padel di primo livello sui campi di Costermano. Nicolas Frey, 37 anni, ha voltato pagina, abbracciando lo sport del momento tanto di moda anche fra gli ex calciatori. Un arrivederci al pallone, per l’ex calciatore francese, più che un addio. Alle spalle 225 presenze con il Chievo, davanti magari un futuro alla Clivense dell’amico Pellissier.
«Quel che è successo l’estate scorsa è stata una mazzata, per me. Non mi è sembrato vero da un giorno all’altro non trovare più il Chievo da nessuna parte. Da lì in poi», racconta Frey, «ho preso le distanze da quello che per una vita è stato il mio mondo. Ma non escludo di poterci tornare, meglio da allenatore che da dirigente se proprio potessi scegliere».
S’è dato dei tempi?
Per questa stagione sono stato fuori, per mille motivi è stato meglio così. La Clivense ha Pellissier e Zanin, più un allenatore competente come Allegretti. Avrei potuto fargli da vice, ma sarebbe stato un ruolo troppo ibrido. Mi sono limitato a dargli una mano nello scouting. Più avanti chissà. Senza troppe scadenze però.
Mai presa in considerazione l’idea di giocare?
Sergio Pellissier avrebbe voluto, ma non me la sentivo di prendere un impegno così. Ciò non toglie che una partita, qualche volta, potrei anche giocarla.
Ma quanto la Clivense è davvero riconducibile al Chievo?
Il collegamento è ovviamente Pellissier. Da direttore sportivo del Chievo a presidente della Clivense. Il format è interessante. Sergio credo sia stato il primo ex giocatore di un certo livello a creare una società dal nulla. Adesso ci vuole testa sulle spalle. E guardare avanti.
Fino a dove?
Siamo cresciuti con Giovanni Sartori, uno che ha sempre fatto tutto in anticipo. Al Chievo come all’Atalanta. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Così deve ragionare Pellissier adesso. Ci vuole testa, prima di tutto. Se la Clivense a settembre sarà in Serie D bisognerà alzare in fretta il livello di competenza. Già da ora. E soprattutto avere solide basi economiche. Ma lui lo sa benissimo. Siamo quasi nel professionismo. E dei giocatori dell’attuale rosa soltanto Pavoni può disputare la serie D.
Come si è calato Pellissier nel nuovo ruolo?
È carico, sta entrando fino in fondo nel ruolo di presidente. Del resto deve farlo in fretta e sarebbe importante giocare il prima possibile la serie D senza passare di categoria in categoria. Troppo tempo. E poi meglio cavalcare, finché resisterà, l’onda mediatica che la Clivense ha già generato. Il programma mi pare quindi piuttosto chiaro. C’è la giusta ambizione.
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Qual è stato il suo primo pensiero quando il Chievo è stato escluso dalla Serie B?
Sono sincero, non dico che me l’aspettavo, ma già da tempo al Chievo qualcosa non andava. Era chiaro anche allo spogliatoio. A livello di gestione mi sembra evidente che di errori ne sono stati commessi parecchi. Da qui a pensare che la società potesse perdere il titolo sportivo, però, ce ne passa. Restano i ricordi, tutti stupendi.
A parte l’ultimo periodo…
Nel cambio generazionale il primo a essere sacrificato fui io. Vero, avevo passato i trent’anni, ma come tanti altri. Non ero vecchio. Pagai più che altro il fatto di aver detto tutto quel che di strano mi pareva ci fosse nella conduzione del Chievo. Colpe tutte della dirigenza, non tecniche. Dissi quel che evidentemente non avrei dovuto dire. A quel punto Frey era diventato di troppo.
E quindi l’addio.
Peccato, perché il Chievo è un quartiere rimasto in serie A per diciassette anni. È stato ammirato in Italia e in Europa. È stato quello che si è guadagnato un preliminare di Champions League e che ha giocato amichevoli con Borussia Dortmud, Bayer Leverkusen e Marsiglia. Non ce lo dimentichiamo.