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La disputa infinita

Chievo, il giudice: «Cancellazione illegittima». Ma bisogna rivolgersi ad un altro tribunale

Il Consiglio di Stato riconosce nella sostanza le ragioni avanzate da Campedelli
Luca Campedelli
Luca Campedelli
Luca Campedelli
Luca Campedelli

Una vittoria ed un paradosso. Il successo, per adesso solo processuale, è la revocazione da parte del Consiglio di Stato delle sentenze precedenti che hanno escluso due anni fa il Chievo dalla Serie B col successivo svincolo di tutti i giocatori.

Le motivazioni riguardano il provvedimento dello scorso 10 novembre, quello che di fatto chiuse ogni discorso e cancellò ogni speranza dopo vari tentativi dei legali di Luca Campedelli partendo dalla giustizia sportiva. Da Bernardo Giorgio Mattarella fino all’opera di Stefano de Bosio. L’epilogo ora è un po’ più dolce, ma sempre assai crudo: d’accordo le ragioni del Chievo, ma per il Consiglio di Stato la questione andava posta alla giustizia tributaria. Rivista la forma, non l’effettiva sostanza. Il passo indietro c’è stato, non entrando però davvero nel merito. Un dribbling ulteriore in una storia infinita, con margini sempre strettissimi. Ed un finale mai davvero riscritto, con il Chievo che adesso è nelle mani dei curatori fallimentari. Con un marchio e la matricola presto di nuovo in vendita. Il castello accusatorio non sarà solidissimo, ma resta quasi inattaccabile.

 

L’ultimo rimbalzo

La contraddizione invece è nell’orientamento della Cassazione, per la quale invece a sbrogliare la matassa dovrà essere proprio la giustizia amministrativa. Quindi il Tar e il Consiglio di Stato, per cui le argomentazioni del Chievo non andavano neanche prese in considerazione per non aver impugnato fin dal primo momento il manuale delle licenze nazionali comprendente tutti i criteri legali, economico-finanziari, sportivi, infrastrutturali e organizzativi da soddisfare per essere ammessi al campionato di competenza. Non avendolo fatto il Chievo, secondo il Consiglio di Stato, era perdente in partenza. Il nodo di fondo è quello di sempre, le norme emergenziali nel periodo del covid in cui, secondo la prima difesa del Chievo, i termini di pagamento vennero prorogati a tutti tranne a chi era meno inadempiente. Senza poter quindi ottenere la società il beneficio della sospensione dei termini e nemmeno la cartella attraverso cui poter accedere alla rateazione esattoriale. Una norma quindi incostituzionale, da sempre al centro delle tesi del Chievo.

 

Scenari complicati

Il punto chiave per il Consiglio di Stato era in un atto che avrebbe dichiarato l’insolvenza della società. Un documento che per gli avvocati di quel Chievo non è mai esistito. Dimostrato dal fatto che altrimenti sarebbe scattata la cosiddetta iscrizione a ruolo del debito non pagato, in modo da generare la cartella di pagamento. Di strade ce ne sono tante in teoria, ma tutte da valutare attentamente. Con un vento lievemente favorevole dopo il passo indietro del Consiglio di Stato verso cui in contemporanea ha rivolto lo sguardo proprio la Cassazione, ma con una eventuale strategia tutta da pianificare se l’effettiva scelta dovesse essere quella di continuare su una strada che resta complicatissima e parecchio in salita, anche se rinfrescata da un segnale di luce che potrebbe aprire l’ennesimo corridoio.

Fra le opzioni c’è pure il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Tutto da valutare comunque. Esclusa invece dal Consiglio di Stato ogni forma di risarcimento della Figc, vedi i 140 milioni che ipotizzò de Bosio il 9 giugno di un anno fa quando proprio l’ultimo scalino della giustizia amministrativa mise in discussione le precedenti motivazioni del Tar. Congelandole, con l’intenzione di volerci vedere chiaro. Quella cifra era la sommatoria del valore dei calciatori, cinquanta milioni in tutto, più la perdita degli sponsor, del peso del marchio più altre leve. Inclusi i diritti televisivi. A novembre l’ultimo verdetto.

Alessandro De Pietro

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