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Il presidente del Chievo alle Iene

Campedelli: «La Serie A si regge sulle plusvalenze. Oggi conosco più avvocati che giocatori»

Luca Campedelli
Luca Campedelli
Luca Campedelli
Luca Campedelli

 

«Le regole si applicano per i nemici, si interpretano per gli amici»: Luca Campedelli avrà anche smarrito il suo Chievo, non certo la feroce lucidità. Né, ovviamente, la profonda amarezza. 
O, meglio, quel senso di «ingiustizia pesante» per come si è conclusa - almeno per ora - la favola del suo club.
A raccoglierne dispiacere e frustrazioni ci hanno pensato le Iene. Meglio, l’inviato Alessandro De Giuseppe, che ha interpellato il presidente del club della Diga alla luce degli ultimi riflessi sul caso delle presunte plusvalenze fittizie che ha investito la Juve. Plusvalenze fittizie che - come parecchi ricorderanno - avevano messo all’angolo lo stesso Chievo, oltre al Cesena, tre anni e mezzo fa.
Decretando, di fatto, l’inizio della lenta caduta della società praticamente scomparsa l’estate scorsa. 
Questione di errori «Non ho sbagliato ma si vede che qualcosa ho combinato. Non so cosa ma qualcosa ho fatto», precisa Campedelli nel servizio andato in onda nella tarda serata di venerdì.
Qualche sorriso a mezza bocca, le parole che galleggiano sopra il senso di fastidio, la constatazione che «col Chievo ci siamo divertiti» e « abbiamo divertito, credo, anche l’Italia», rammenta.
Poi i riflessi del presente: «Non sto benissimo», ammette. «Trascorro le mie giornate con gli avvocati. Il primo anno di Serie A conoscevo solo un avvocato, che era il papà di un caro amico. Oggi conosco più avvocati che giocatori», confessa.


Iniquiità Una battuta preziosa anche per annacquare il dolore. E l’ironia presto è sopraffatta da rancore, disinganno. Anche una discreta dose di malinconia: «È vero: non c’è equità di trattamento tra le società», accusa. «Per chi non è all’interno di un certo tipo di sistema le regole si applicano in maniera ferrea, per chi è amico le regole si interpretano. Tradito? Nell’ambiente del calcio le amicizie non esistono per cui non c’è neanche tradimento». 
Piuttosto «io purtroppo ho la brutta abitudine, se c’è qualcosa che non va bene, di dirlo. Anche se non sono un santo, attenzione. Nel calcio il più pulito ha la rogna...», altro sorriso, altra constatazione acida.
«Così fan tutte» Le plusvalenze artefatte e strumentali, a uso e consumo del bilancio, in ogni caso, oggi sembrano andare di gran moda. 
Nel 2018 gran parte della stampa, anche specializzata, aveva sparato a zero sul club della Diga, ben al di là del sospetto che «così facevano tutti». O quasi.
E Campedelli oggi va giù dritto, senza compromessi: «Il calcio si regge sulla plusvalenza», dichiara all’inviato di Italia Uno. «Tanti altri giocatori hanno plusvalenze importanti ma nessuno ha mai detto niente».

Milioni in fumo Quindi il ragionamento slitta sulle tribolazioni estive e sulla scomparsa del club, non soltanto dal panorama della Serie B. 
Dal disinvolto svincolo dell’organico gialloblù autorizzato dalla Figc e, soprattutto, dalle considerazioni sul monte dei passivi accumulati negli anni. Ventitrè milioni soltanto di debiti tributari. 
«Corretto», replica Campedelli, «però noi avevamo anche un patrimonio giocatori stimato, solo per la prima squadra, sui 33 milioni. In più quest’anno era il primo in cui eravamo in cassa positiva di quasi otto milioni».
Numeri - comprese le giovanili il valore complessivo era vicino ai quaranta milioni - che non hanno impedito il colpo di spugna.
Compromettendo anche la rateizzazione, correttivo di uso assolutamente comune e diffuso: «Con la normativa Covid e il blocco delle cartelle esattoriali l’Agenzia delle entrate impediva un’ulteriore rateizzazione, senza una cartella esattoriale non si può rateizzare», fa ancora Campedelli. «Secondo la federazione avremmo dovuto pagare il debito tutto in una volta».

Paradosso Clamoroso il paradosso: «La federazione chiedeva soldi che lo Stato al momento non vuole». 
L’inviato De Giuseppe, nel servizio, ha sollecitato risposte anche a Paolo Boccardelli, presidente Covisoc, e a Gabriele Gravina, numero uno Figc. Piuttosto prudente - se non evasivo - il primo: «C’è il segreto istruttorio, ci sono gli atti. Pasticcio burocratico? Non credo», l’opinione.
Quanto a Gravina, «il Chievo aveva un debito che non era rispondente al rispetto dei principi delle licenze nazionali. Il principio è stato sancito in diversi gradi della giustizia sportiva e in diversi gradi della giustizia ordinaria», le sue parole. «Il Chievo è una realtà storica, anche simpatica, ma le regole sono uguali per tutti».
 

Danni e beffe Peccato che nel frattempo - beffa suprema - sia intervenuta anche la possibilità del rinvio a tempo indeterminato delle scadenze per il pagamento di tasse e contributi.
Un vantaggio che il Chievo non ha potuto sfruttare per poche settimane: «Sì, adesso le società possono anche non pagare e non cambia niente. Fosse capitato prima saremmo iscritti anche noi, assolutamente», conferma ancora Campedelli. «Amarezza? No, senso di ingiustizia pesante. A questo punto comportarsi bene e comportarsi male è uguale. Anzi, è meglio comportarsi male».
L’ultima risposta è un inno alla nostalgia: «Avessi la bacchetta magica? A me piace il pallone. Mi piacerebbe essere a Veronello, vedere gli allenamenti della prima squadra, parlare con i giocatori, scherzarci... Annusare il pallone, annusare l’erba. Mi basterebbe questo». 

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