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La ricorrenza

Buon compleanno Brigate Gialloblù: 50 anni da...«butei»

Il 30 novembre del 1971, in Piazza Nogarola in Borgo Venezia, nasceva un gruppo destinato a scrivere pagine storiche del tifo calcistico più spinto
Tifosi in trasferta quando non partivano in meno di cinquemila da Verona
Tifosi in trasferta quando non partivano in meno di cinquemila da Verona
MOSTRA FOTO CURVA SUD (Fotoexpress)

«Un gesto istintivo, volevo andare nel punto più alto e da lì lanciare un coro». Così Moreno Matteoni, all’epoca fisico alla Gianmarco Tamberi e capello più lungo di Jimmy Page, ricorda un’immagine che è divenuta un’icona di quel 12 maggio 1985. A Bergamo si consolida l’inaudito, l’impossibile e, purtroppo, un fatto irripetibile: il Verona vince lo scudetto. «Dal gol di Elkjaer ho iniziato a piangere e ho smesso credo, dopo una settimana» racconta il “Matte“, «quattordici anni prima erano nate le Brigate. Il nostro obiettivo massimo era la salvezza, figurarsi la vittoria del campionato». Aveva le scarpe bucate a fine giornata, Moreno, Non è facile incitare un’intera città stando sulle punte affilate della cancellata dell’allora Brumana di Bergamo.

«I Butei sono immensi. Hanno la mia ammirazione e quella di noi reduci. A parte i due anni di Juric e qualcosa con Mandorlini, non hanno mai visto il Verona di Chiampan o Garonzi. La costanza di questi ragazzi è un gesto d’amore, una fede». Quella fede che Matteoni, l’uomo dell’anagrafe, dee jay e testimone di mille gare in giro per il mondo con il mitico «Gianca», ha tuttora. «Sono sul poggioletto della Curva Sud. La forza della Brigate in questi cinquant’anni è stata quella del ricambio generazionale. La mia e la nostra fede è incrollabile. Ai ragazzi dico sempre di non mollare». Al di là delle strumentalizzazioni politiche, degli eccessi e delle malefatte regolarmente pagate a caro prezzo, la Curva Sud ha espresso negl’anni molta solidarietà, amicizia e voglia di vivere e aiutare l’amico della domenica in difficoltà nella vita di tutti i giorni.

«Avevo quattordicianni». Era un adolescente Moreno quando posò nella foto in Piazza Isotta, il 30 novembre del 1971. «A dir la verità» dice, «un’avanguardia delle Brigate esisteva già nel 1970. Allo stadio in curva c’era uno striscione con scritto “Calcio Club Quattro fedelissimi“. È stata l’estate del 1971 la più movimentata. Esistevano i Boys dell’Inter, Il Commandos Tigre e la Fossa dei Leoni del Milan. Ma nessuno aveva il nostro nome. Brigate piacque a tutti. Gli amici quelli di una vita. Il “Tuffi“, “Ciano“ Boni, Sergio Puglisi, Silvio Cametti e il “Vecchio Save“. Ci trovavamo al Bar Macchiella, che era prima della Pizzeria Vesuvio a San Zeno e poi iniziò l’epopea del Bar Oasi. Ci trovavamo al martedì e al venerdi, avevamo una saletta in quel locale in Corso Porta Palio, appena prima della Macelleria Garonzi». Che coincidenza, anche se non erano e non sono parenti di Garonzi, un’altra icona gialloblù. L’obiettivo massimo era la salvezza. I tempi erano dilatati rispetto a quelli odierni.

Al martedì si discuteva della gara appena passata e il venerdì, i tifosi organizzavano la trasferta. Poche, anzi nulle le amicizie o i gemellaggi. «Esatto» ammette Matteoni, «Arrivarono dopo. Il 30 dicembre del 1972, quando vincemmo a Genova per uno a zero con rete di Mazzanti, io c’ero. Con gli “amici doriani“ ci furono scontri prima, durante e alla fine della partita. All’epoca andava così». Se poi ci mettiamo che c’erano simpatie con Roma e Milan il quadro è completo. «Altri tempi, altre dinamiche. Personalmente non sono mai stato un tipo da gemellaggio e neppure da idoli. Per me l’unica cosa che conta, è il Verona». Il primo giocatore simbolo, però, fu Gianni Bui. «Corretto», rileva uno dei tanti ex leader delle Brigate Gialloblù. «Fu il primo a segnare 15 reti nella serie A con solo sedici squadre. Certo il primo coro nel nuovo stadio fu per lui».

L’EUROPA Tanto Anglo-italiano, tornei in Svizzera, Mitropa Cup e perfino in Bulgaria per il Verona ma l’Europa quella vera arrivò con Dirceu, Fanna e Penzo. Belgrado e quel «Vinceremo a Graz» diventati leggenda. «Sì ma c’è un ricordo indelebile» racconta Umberto Bastasini, «ed è qualche anno più tardi a Stettino in Polonia». Ride uno dei tanti ex capi della curva. «I poliziotti al confine con l’ex DDR guardavano l’orologio e ci facevano segno che non saremo mai arrivati in tempo per la partita. Le pratiche in dogana erano lunghissime. Al ritorno sull’entusiasmo del risultato del Verona contro la Pogon, ci vendicammo». Nel modo più semplice per una tifoseria. «Una ventina di ragazzi» ricorda Umberto, «erano già transitati dal confine e cominciarono ad insultarci con cori e minacce, così per ridere. Noi eravamo sui pullman e smontammo inscenando un diverbio. I poliziotti non capivano la lingua e pur di togliersi dalle scatole questi pazzi, accelerarono le operazioni di controllo».

Tanti aneddoti e tante verità. «Le Brigate erano la maraia di tutte le maraie» conclude Bastasini, «c’era rivalità tra quartieri e compagnie durante la settimana ma alla domenica tutti eravamo là in curva sotto un’unica bandiera, quella gialloblù». Sulle stesse frequenze di Bastasini anche Alberto Lomastro che resse le sorti, insieme ad altri, della curva nel momento più delicato. Lui arrivò dopo il Primo febbraio 1987, quando dodici tifosi del Verona furono arrestati con l’accusa di associazioni a delinquere, primo caso in Italia. Le Brigate si sciolsero e famoso rimase lo striscione nella curva vuota: «Non 12 ma 5000 colpevoli». Lomastro ricorda quel periodo.

«Ci fu lo scioglimento. In più gli Anni Novanta, furono stagioni negative per la squadra. Ricordo» prosegue il “Loma“, «che a Cosenza andammo in diciassette. Mai un numero così basso. La mostra organizzata dai Butei di oggi è stata bellissima. Loro portano avanti una fede ed un’identità. Non è semplice di questi tempi. La cosa bella della curva è che ha unito professionisti, imprenditori, operai, giovani e disoccupati a sostenere sempre il nostro amato Verona».

E ieri sera alle 20 in Piazza Isotta Nogarola in Borgo Venezia la commozione è stata tanta. In un movimento dopato dai troppi interessi e dalla mancanza di valori, come ci dimostrano le ultime indagini che fortunatamente non riguardano l’Hellas, le Brigate dopo cinquant’anni sono ancora qua. Troppo sbrigativo e da perbenisti, bollare il mondo ultras come violento e anacronistico. I Butei che oggi, come ieri, non preferiscono parlare, vanno solo rispettati e al tempo stesso stigmatizzati quando sbagliano. Loro rappresentano l’ultimo baluardo del calcio romantico.•.

Gianluca Tavellin

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