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Bonimba racconta «In campo a Perugia quando morì Curi...»

LA TRAGEDIA IN DIRETTA. Un grande ex rivive uno dei momenti più dolorosi del nostro calcio
«Lo vedemmo cadere e pensammo fosse stato un intervento di Furino. Invece non c'era stato alcun fallo Lo rivedemmo all'ospedale, era già senza vita...»
Roberto Boninsegna con la maglia della Juventus
Roberto Boninsegna con la maglia della Juventus
Roberto Boninsegna con la maglia della Juventus
Roberto Boninsegna con la maglia della Juventus

L'erba era fradicia. Il tonfo venne ammorbidito. “Ci girammo tutti, sentimmo un urlo. Subito non capimmo”. La tragedia entra nelle case degli italiani. In differita. Roberto Boninsegna la vive in diretta al Comunale di Pian di Massiano, Perugia, dove gli umbri affrontano la Juventus. La storia la conoscono purtroppo tutti. Renato Curi, motorino della mediana 'grifata' è a terra. Ha appena urlato, lo sguardo non promette nulla di buono. E' il 30 ottobre '77. Sta per diventare una giornata triste. Il calcio metterà il lutto al braccio. Bonimba qualche anno dopo arriverà al Verona per vivere una stagione in gialloblù. Con sè un bagaglio di grande esperienza e pure quel doloroso episodio consegnato alla memoria. Dolorosissimo. Dissero di lui: aveva il cuore matto. E ancora: quella partita non la doveva giocare. Tornava da un infortunio. Era stato in dubbio. Giocò. E morì poco dopo aver lasciato il campo. Stroncato da un arresto cardiaco. A 24 anni. Storia che purtroppo non è rimasta caso isolato. TRISTE RICORDO. “L'urlo di Curi – racconta Boninsegna – ci destò. Pensammo subito ad un fallo commesso da Furino su di lui. Ci avvicinammo e capimmo che non era così. Beppe ci dice: guardate che non l'ho toccato. E lì cominciamo a capire che sta succedendo qualcosa di diverso. Accade tutto in velocità. Era stramazzato al suolo. Purtroppo da lì non si rialzò più. Entrarono i barellieri. Non ci rendemmo comunque conto della gravità”. Curi stava morendo. Il suo cuore avrebbe cessato definitivamente di battere in corrispondenza al fischio finale di quella maledetta partita. I medici del Perugia gli praticarono due iniezioni, il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca. Poi venne trasportato d'urgenza al Policlinico di Perugia. Dove tuttavia arrivò quasi cadavere. Prima della gara il medico del Perugia aveva garantito la piena guarigione del giocatore. L'autopsia sul cadavere evidenziò una malattia cronica del cuore capace di dare morte improvvisa. Divamparono le polemiche. Lamberto Boranga, portiere e compagno di squadra di Curi avanzò l'ipotesi che il giocatore conoscesse i rischi cui andava incontro. Boninsegna non ha dimenticato i momenti tragici della visita a Curi. “Finita la gara andammo in delegazione alla cella mortuaria. L'immagine fu bruttissima. Renato era pieno di sangue, gli occhi e il collo già neri. Fu bruttissimo per tutta la squadra”. LA GRANDE PAURA. Logica la reazione dei giorni successivi. Si tornò a parlare di sicurezza dei calciatori, di controlli medici, di garanzie sulla vita. Tema, evidentemente, ricorrente, visto che ancora oggi episodi di questo tipo continuano a far parlare l'opinione pubblica. La reazione di Bonimba? Contenuta. “L'episodio triste di Crui segnò molti di noi. Personalmente non ebbi mai paura. Ho avuto la fortuna di giocare in club di altissimo livello, dove i controlli erano continui ed eravamo seguiti dai medici in maniera eccezionale. Quandi avvvenne quella tragedia ero alla Juve. Per ogni giocatore esisteva una scheda personalizzata che veniva continuamente aggiornata. Mi sono sentito sempre sicuro”. UN'ALTRA STORIA. Boninsegna va oltre nelle sue considerazioni, toccando un altro argomento di scottante attualità: il doping. Chi si dopa, semplicisticamente, lo fa per migliorare le sue prestazioni. Ma può correre seri rischi di salute. Bonimba è severo. “Trovo pazzesco si parli di responsabilità oggettiva da parte delle società quando un tesserato usa droghe e viene scoperto, e magari ha fatto tutto in silenzio. Un drogato non può essere un campione. Una persona seria non può alterare le sue prestazioni. Vincere così non è giusto. E sul piano etico e morale trovo sia inaccettabile. Il problema è stato posto più volte. Va affrontato con grande maturità”.

Simone Antolini

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