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INTERVISTA

Andrea Guardini: «Ho detto basta ai pericoli e ai sacrifici. Ma resterò... in sella»

Andrea Guardini vince in volata a Vedelago, al Giro 2012, bruciando in volata Mark Cavendish
Andrea Guardini vince in volata a Vedelago, al Giro 2012, bruciando in volata Mark Cavendish
Andrea Guardini vince in volata a Vedelago, al Giro 2012, bruciando in volata Mark Cavendish
Andrea Guardini vince in volata a Vedelago, al Giro 2012, bruciando in volata Mark Cavendish

Trentadue anni di età, undici trascorsi su una bicicletta da professionista: Andrea Guardini, corridore di Tregnago, lascia. E spiega con serenità i motivi del suo ritiro: «Quando ha deciso di smettere? La scelta è maturata pian piano durante la stagione», spiega a pochi giorni dall’annuncio ufficiale. «Ad ogni volata mi domandavo se valesse la pena continuare a fare tanti sacrifici e rischiare di farmi male con una bimba a casa, per poi fare piazzamenti più che vittorie».

 

C’è stato un giorno preciso?

«Il tarlo l’avevo nella testa e nelle ultime due volate al Giro di Sicilia a fine settembre questo sentimento è emerso dopo l’arrivo».

 

Avrebbe potuto continuare?

«Sinceramente non mi sono adoperato al cento per cento per trovare una squadra in un ciclismo cambiato dove le tappe per velocisti puri sono sempre meno».

 

Era calato anche come rendimento?

«Il rammarico è che prima del Giro di Sicilia avevo fatto i miei tempi migliori e la mia migliore prestazione aerobica sulla salita dove mi testo sempre, i 7 chilometri da Cavalo a Mazzurega. Insomma, ho concluso la carriera in crescendo. In volata, sì, ho perso un po’ di smalto, meno esplosivo di quando avevo 21 anni. E, soprattutto, non saltavo più un… cavalcavia, tanto da domandarmi come avevo fatto ad arrivare alla ventesima tappa del Giro nel 2012: solo con tanta grinta, non per le caratteristiche di un corridore semicompleto come me».

 

Idee per il futuro?

«Non mancano, ma al momento le tengo per me. Il ciclismo, però, farà parte del mio futuro. La cosa bella è che smetto con tanta voglia di stare in bici e mi gusterò i magnifici paesaggi della Valpolicella. La prima cosa che ho fatto è stato vendere i pedali con i sensori di potenza. Avrò sempre il mio garmin, più che sufficiente come cardio e per non andare fuori soglia».

 

Sarà un direttore sportivo?

«Il Centro studi dà la possibilità, per due anni, di potermi formare in modo agevolato e sto sfruttando questa possibilità per avere la tessera di direttore sportivo. Al momento, la risposta è no, ma per cultura personale intendo mettere la teoria accanto alla pratica fatta, sto frequentando e a gennaio avrò un primo esame. Al momento il mio focus è quello di fare la guida cicloturistica».

 

Ha cominciato con la Gaiga, poi Ausonia.

«La Gaiga non era in grado di fare una squadra juniores con me e Alberio. All’Ausonia ho trovato il mio mentore, Gaetano Zanetti, che non finirò mai di ringraziare, che mi ha seguito anche da professionista, la persona alla quale mi rivolgevo quando mi sentivo spaesato o non sapevo a chi rivolgermi».

 

È passato col record di vittorie annuali da Under: 19.

«Un record che durerà ancora tanto perché, purtroppo, ci sono sempre meno corse in una categoria diventata confusionale con l’avvento delle Continental. A mio avviso stanno gestendo male questa categoria di mezzo perché si tratta di squadre semiprofessionistiche senza un adeguato calendario gare».

 

Le grandi squadre cercano sempre più i giovani.

«Si cerca sempre più il nuovo Evenepoel mentre si dovrebbe tornare ad un ciclismo in cui i giovani possano fare gavetta. Oggi se uno passa e non vince nei primi due anni, il rischio di smettere è grande. Io, almeno in questo, sono stato fortunato in un ciclismo meno esasperato».

 

Ha sempre saputo di essere un velocista.

«Sì e da “prof” conoscevo bene le mie caratteristiche e le mie lacune avendo capito presto, dopo le prime gare, che avrei dovuto lavorare tantissimo per migliorare il rendimento in salita».

 

Per lei era più difficile arrivare alla volata che farla.

«All’inizio sì e per vincere dovevo battagliare, ma non c’era l’esasperazione di oggi quando la volata è a sfinimento, comincia almeno a 20 chilometri dall’arrivo andando a 70 all’ora, usando rapporti inimmaginabili tipo 54, 55, 56, rispetto a dieci anni fa. E sono uno a cui piaceva fare la volata agile».

 

Ha vinto in ogni stagione, eccetto nel 2017.

«Avevo firmato con UAE nel luglio 2016 con Saronni. Il mai sponsor doveva essere cinese, la multinazionale TJ Sport che aveva grande interesse ad avere un velocista puro come me, capace di vincere in Asia. A novembre il suo amministratore delegato è morto. Per quindici giorni siamo stati in apprensione, poi Saronni e Giannetti hanno concluso con UAE, che voleva arrivare subito nelle prime tre squadre World Tour. Hanno preso Gaviria e Kristoff. Insomma, da maggio ho fatto il tappabuchi, mi hanno fatto correre le classiche al Nord ma non la Gand, l’unica adatta a me. Poi mi sono anche rotto una costola in giugno. A fine stagione mi hanno invitato a rescindere il contratto. L’ho fatto».

 

Qual è stato il giorno di massima sofferenza?

«Parigi-Nizza 2017, seconda tappa, due gradi alla partenza, due all’arrivo, diluvio universale tutto il giorno, per 230 chilometri e senza materiali tecnici per affrontare condizioni climatiche estreme. All’arrivo tremo, mi mettono in mano tè caldo e riso caldo scotto: è stato il pasto più buono della vita».

 

È inevitabile commettere errori: quale non rifarebbe?

«Ripensandoci oggi, con la testa dei 32 anni, tante volte al posto di parlare sarei stato zitto. Avrei potuto evitare di scontrarmi con team manager e direttori sportivi per aver detto il mio pensiero in modo troppo schietto...». 

Renzo Puliero

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