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Il racconto

Viaggio nella stanza di Rebellin. «Davide ha sofferto tanto, lui che non faceva male a nessuno»

Coppe e trofei, foto, racconti e interviste nella taverna diventata oggi un museo alla memoria. Il ricordo dei fratelli del campione
La stanza, nella casa di Lonigo, in cui sono raccolti i ricordi delle vittorie ma anche delle amarezze del campione
La stanza, nella casa di Lonigo, in cui sono raccolti i ricordi delle vittorie ma anche delle amarezze del campione
La stanza, nella casa di Lonigo, in cui sono raccolti i ricordi delle vittorie ma anche delle amarezze del campione
La stanza, nella casa di Lonigo, in cui sono raccolti i ricordi delle vittorie ma anche delle amarezze del campione

Davide vinceva, papà Gedeone accoglieva coppe e trofei, ritagliava articoli di giornali, catalogava tutto, sceglieva fotografie significative, selezionava racconti e interviste e metteva tutto in una taverna, sotto casa. Ora è un museo alla memoria, che racconta 40 anni di ciclismo. Terminati tragicamente il 30 novembre scorso quando un camion lo ha travolto e ucciso mentre a Montebello Vicentino era in sella alla sua bicicletta.

Nel museo vi ritrovi la bici Grandis con la ruota lenticolare del campionato del mondo della 70 chilometri vinta da junior, la medaglia d’argento al Mondiale dilettanti, la maglia rosa indossata per sei giorni al Giro del 1996 «quando», racconta Carlo, «fermammo letteralmente la corsa al passaggio davanti a casa nostra, a Madonna di Lonigo, con Davide davanti e tutti i tifosi sulla strada, bastava un abbraccio, un sorriso, poche parole», il trofeo conquistato all’Amstel e quello alla Liegi-Bastogne-Liegi, «la corsa», diceva Davide, «che amavo di più», un pezzo di legno con attaccato una corona della bici, curiosamente identico a quello vinto, più volte, alla Freccia Vallone e, ancora, tutte le maglie indossate in carriera, le prime con le società veronesi Pizzini, l Riboli val d’Illasi di Gianni Tebaldo, l’Opel Vighini Venera di Fausto Vighini e Billy Ceresoli, e tanto, tanto altro.

 

La grande assente

C’è anche un’assenza: la medaglia d’argento olimpica conquistata a Pechino nel 2008, ma c’è la foto «a ricordarmi», diceva Davide, «che l’ho vinta, che l’ho meritato e che continuo a sentire mia».

Gedeone Rebellin è scomparso nel luglio scorso, quattro mesi prima di Davide. Il museo rimane a perenne memoria nella casa di mamma Brigida, dei fratelli Simone, un anno più vecchio di Davide, professionista dal settembre 1993 al 1997, Stefano anche lui ciclista «ma solo per tre gare», Carlo arrivato agli Under e al primo anno di élite.

 

La sofferenza dopo la squalifica

«Davide era talmente abituato a prendere coppe e trofei vari che portava tutto qui perché aveva caro che se li godesse papà», riferisce Carlo che, con Simone, concorda che «l’atteggiamento di Davide era pressoché uguale quando vinceva o perdeva». E unanime è dire: «Davide ha sofferto tanto la squalifica», non tanto per le due stagioni perse, quanto «per come è stato trattato dopo, rifiutato dalle grandi squadre».

Roberto Gallinetta, che ha seguito Davide come massaggiatore per tutta la sua carriera, ha scritto e racconta: «Al rientro abbiamo bussato a tutte le porte, alle squadre di Reverberi, di Scinto, di Savio e Beppe Saronni, anche venti giorni fa, mi confermava: volevo portare Davide alla Lampre, ma c’è stato un divieto, da giù». E aggiunge: «Veniva da Roma».

«Non si sa perché», riprende Carlo, «che motivo c’era? Sembrava ci fosse una forza maggiore che gli impediva di trovare posto in una squadra World Tour o Professional, al contrario di quanto è stato per altri corridori che, reduci da una squalifica, hanno ripreso in grandi squadre tornando a vincere come Vinokourov, Basso, Valverde, Scarponi... Davide ha perso almeno altri tre o quattro anni ai massimi livelli, lui che non faceva male a nessuno, lui che non ha mai criticato nessuno, mai una parola contro un atleta o la Federazione».

 

Un odio non meritato

«E’ incomprensibile l’odio che Davide proprio non meritava, dopo l’Olimpiade di Pechino, tutto è partito da lì. E anche nell’ultimo settembre, Davide contava di fare certe corse, ma non era invitato», dice Simone. Il tutto davanti ad una sentenza di innocenza (come sempre aveva rivendicato Davide) per i fatti di Pechino 2008, così giudicata dalla giustizia civile.

«La Federciclismo», fa presente Simone, «avvisava le squadre che, con Rebellin, non avrebbero partecipato al Giro e alle classiche. Ma non è normale. Scontati due anni, uno torna correre. Davide no, va a capire perché». Il mancato ritorno alle classiche «è stato più penoso per Davide della squalifica stessa». «Ce lo ha confermato la moglie Francoise che quello è stato il dolore più grosso per Davide tanto che, al risveglio, gli è capitato di confessare di aver sognato nella notte di vincere una classica», dice Carlo. «E ora dicono di restituirgli la medaglia…».

 

Altri momenti "poco comprensibili"

Ci sono stati «altri momenti poco comprensibili nei confronti di Davide». Il riferimento è al Mondiale 2004, a Verona. Ballerini non l’aveva inserito in squadra e Davide, avendolo capito per tempo, aveva avviato le pratiche per correrlo con l’Argentina «ma all’ultimo momento non è arrivata la carta del via libera».

Ma quell’anno, in quel momento, Rebellin era l’atleta al comando nella classifica di Coppa del mondo (che avrebbe perso all’ultima gara, la Parigi-Tours a opera di Paolo Bettini), aveva vinto le tre classiche delle Ardenne in una settimana. E ai Giochi olimpici di Sydney 2000 dove Davide era in squadra «ma poi in Australia», ricorda Carlo, «è andato Pantani e la sua borsa aveva la scritta Rebellin».

Davide Rebellin sin dai primi anni di professionismo è andato ad abitare a Montecarlo, «e noi lo vedevamo poco», dicono i fratelli. Certi, però, di un fatto: «Anche se aveva dei problemi, niente lasciava trasparire. A lui bastava allenarsi per essere contento e lo ha fatto anche nei due anni di stop, come dovesse tornare a correre l’indomani». Carlo aggiunge: «Davide traeva grande forza nella fede per reggere il dolore che si portava dentro per essere escluso dal grande ciclismo e tutte le traversie che ha superato, sempre senza lamentarsi».

Renzo Puliero

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