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La carriera

Rebellin, il professionista più longevo. Lo choc di Pozzato e Cassani: «Era un esempio per tutti»

Il 16 ottobre scorso ha corso la Veneto classic e ha chiuso una carriera durata 31 anni con 64 successi in tutto il mondo

Domenica 16 ottobre 2022, battute finali della stagione. Si corre la Veneto classic, partenza a Treviso e arrivo a Bassano. È il traguardo che Davide Rebellin ha scelto per dire addio al professionismo dopo 31 anni, il sipario di una carriera che pareva non dover terminare mai. A 51 anni suonati arriva 30esimo, l'ennesima prova di classe di un campione che a volte è stato osannato, altre trattato da reprobo, ma che è sempre stato un esempio indiscusso di dedizione alla bici.

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Da ragazzino correva con la Pizzini

Un amore sbocciato quand'era ragazzino e correva con la Pizzini. Pedalare era per lui un gesto così naturale e le vittorie arrivavano con una tale facilità che gli allenatori cominciarono presto a darsi di gomito. Fu allora che vicentini e veronesi iniziarono a contenderselo, visto che era nato all'ospedale di San Bonifacio ma abitava con la sua famiglia a Madonna di Lonigo. Da junior passa alla Riboli Val d'Illasi e si comincia a parlare di un ragazzo prodigio. Davide vince su tutti i terreni e più i percorsi sono selettivi, più il suo talento risplende. Doti naturali, sì, ma anche tanti sacrifici, ore infinite di allenamento e vita monacale con un solo obiettivo in testa: diventare un campione. È junior quando arriva la maglia iridata nella 70 chilometri. Da under è con la Opel Vighini e i suoi progressi non si fermano. Dopo la vittoria al trofeo Degasperi e il ventesimo posto all'Olimpiade di Barcellona, vinta da Fabio Casartelli, il 5 agosto 1992 ecco il debutto fra i professionisti al Gran Premio di Camaiore in maglia Gb-Mg. È anche la gara d'esordio di un altro giovane di cui si dice un gran bene, Marco Pantani. Rebellin è sempre piazzato, al traguardo trova puntualmente qualcuno più veloce di lui ma è chiaro a tutti che quel veneto con il volto da bambino e la dinamite nelle gambe ha davanti a sé un futuro radioso.

Rebellin, la prima vittoria da professionista nel 1993

La prima vittoria da professionista arriva nel maggio 1993 in una corsa modesta, l'Hofbrau cup, in Germania. Ma è solo l'inizio. Rebellin torna ad esultare in una tappa del Giro del Trentino 1995 e l'anno dopo, con la Polti, al Giro d'Italia vince la tappa di monte Sirino e porta la maglia rosa per sei giorni. Le grandi corse a tappe, però, non saranno mai il suo pane. Nel 1997 lo vuole la Francaise des Jeux e con i transalpini vince la Clàsica de San Sebastian e il Gp de Suisse, prove di Coppa del Mondo. Torna alla Polti e l'immagine di Rebellin a braccia alzate è sempre più frequente. Nel 1998 mette il sigillo anche sul primo dei suoi tre Giri del Veneto consecutivi. Il 2001 è per il leoniceno un anno di grazia. In maglia Liquigas Pata aggiunge al suo palmarès una dozzina di corse, fra cui la Tirreno-Adriatico. Nel 2002 torna ad accasarsi all'estero. Con la tedesca Gerolsteiner, con cui correrà per 7 anni, nel 2004 entra nella storia diventando il primo corridore a centrare nella stessa settimana Amstel Gold race, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi. La Freccia sarà sua anche nel 2007 e nel 2009. Deluso dalle mancate convocazioni in Nazionale, lo stesso anno inizia le pratiche per ottenere la cittadinanza argentina e poter correre il mondiale di Verona. Il passaporto non arriva in tempo, l'operazione sfuma.

L'argento alle Olimpiadi di Pechino e l'ingiusta revoca

Il 9 agosto 2008, nel giorno in cui compie 37 anni, Davide Rebellin è secondo all'Olimpiade di Pechino. È l'inizio di un'odissea: gli verrà contestata una positività al doping, viene squalificato e gli viene revocata la medaglia. Il corridore fa ricorso, la giustizia ordinaria lo scagiona, ma quella medaglia d'argento non gli è mai stata restituita. Rebellin intanto cambia vita, si stabilisce vicino a Montecarlo. Vuole riprendere a correre e a vincere ma il ciclismo che conta lo respinge. A Rebellin non è concesso riabilitarsi, neppure dopo una sentenza a suo favore. Squadre minori gli danno fiducia e lui le ripaga vincendo (collezionerà 64 primi posti in carriera), ma il circuito World tour lo tiene a distanza.

Gli anni passano, Rebellin continua a sciropparsi mezze giornate in bici e diventa un fenomeno di longevità sportiva: nessuno è mai stato così competitivo con il doppio dell'età dei suoi avversari. Nel settembre 2021 al Memorial Pantani si frattura tibia e perone, qualche settimana dopo è di nuovo in bici. L'estate scorsa la decisione di chiudere la sua carriera in Veneto, dove da ragazzino aveva iniziato a pedalare e a sognare. Così ha fatto: 39esimo al mondiale Gravel a Cittadella, 31esimo al Giro del Veneto a Vicenza. Alla Veneto classic, a Bassano, l'ultimo applauso della sua carriera, e purtroppo anche della sua vita.

Lo choc di Pozzato e Cassani «Era un esempio per tutti»

Nell'estate 1992, al passaggio tra i professionisti con la Gb-Mg Maglificio, Davide Rebellin fu accolto in squadra da Fabio Baldato. «Quando volevo fare degli allenamenti impegnativi - ricorda il velocista di Brendola - lo chiamavo perché ero sicuro di trovare la spalla perfetta. Sono incredulo, quando pedalo passo sempre per il luogo dell'incidente e non riesco a capacitarmi per l'accaduto». Baldato, ora ds della Uae, era uscito con Rebellin un anno fa tra le colline della val d'Illasi, «io da cicloamatore - dice - lui sempre con la solita passione e il solito impegno. La bici era la sua vita».

Anche Davide Cassani ha condiviso con il leoniceno due anni nello stesso team: «Lui era una giovane promessa - commenta il romagnolo - ma aveva già quella professionalità maniacale che lo ha sempre accompagnato. Si allenava sempre più degli altri, senza che questo gli pesasse. Perché per lui correre in bici era un piacere. Ed è atroce pensare che un mese dopo la fine della sua interminabile carriera sia morto così». L'ex ct della nazionale condivide un aneddoto sul primo giorno da pro di Rebellin: «Ha debuttato assieme a Marco Pantani al Gp di Camaiore - rammenta - pochi giorni dopo la prova olimpica di Barcellona dove aveva corso alla grande. Io vinsi e lui fu ottavo. Non l'ho mai visto una volta arrabbiato, era tranquillo e silenzioso. Ha sempre pedalato con enorme dignità, anche alla fine quando militava in squadre piccole. Lo faceva per il gusto di andare in bici, la passione di tutta la sua vita». Bruno Cenghialta ha corso tante volte contro Rebellin «ma anche per noi più vecchi - confessa - Davide era un punto di riferimento. Un combattente nato, che non mollava mai. Quando si attaccava il numero sulla schiena non dovevi mai sottovalutarlo. Un esempio, forse impossibile da copiare». L'attuale tecnico dell'Astana prosegue: «Viveva totalmente per il ciclismo. Speriamo che non abbia sofferto e che non si sia reso conto. Di certo pedalare in strada, in quello che per i ciclisti è l'unico campo di allenamento, è sempre più pericoloso».

Molto turbato anche Angelo Furlan: «Sono senza parole - spiega - perché Davide era un mito per tutti. Io ho fatto in tempo ad ammirarlo in tv da ragazzo, a gareggiarci assieme e a ritirarmi 10 anni prima di lui. Cerco una spiegazione razionale a quanto accaduto ma è una dura botta per tutti». Furlan si era sentito poche settimane fa con Rebellin: «Mi aveva chiesto qualche consiglio prima del Mondiale gravel di ottobre - dice - dato che avevo disegnato io il percorso. Gli avevo poi domandato cosa avrebbe fatto una volta smesso, la sua risposta era stata che avrebbe comunque voluto andare in bici ogni giorno. Ora posso solo pensare che da qualche parte continuerà a pedalare per sempre».

Chi quel Mondiale gravel lo ha organizzato è Filippo Pozzato. Questo il ricordo del sandricense: «Davide - afferma - è sempre stato un esempio. Lo dico da tempo, a livello di forza fisica lui è stato il più grande talento del ciclismo italiano negli ultimi 70 anni. Voleva che le ultime corse fossero qui in Veneto, per cui abbiamo invitato la sua squadra nelle nostre prove. Prima del via è stato premiato sul palco e lo abbiamo fatto sfilare in testa al gruppo, ma anche in questo caso era quasi intimidito».

Pozzato ha pedalato con lui domenica a Monaco, in un criterium tra le strade del Principato, nell'ultima uscita pubblica di Rebellin. «Queste tragedie - attacca - devono essere evitate. Bisogna educare le persone sin da piccole sul reciproco rispetto tra gli attori della strada. In Italia dobbiamo lavorare ancora tanto su questo».

Pochi ma intensi gli incontri di Filippo Zana con Rebellin: «Era un campione - sostiene lo scalatore di Piovene - e un maestro per noi giovani. Alla partenza del Giro del Veneto è venuto a farmi i complimenti per la maglia tricolore. Gli ho risposto che era stato un mio idolo e di divertirsi nell'ultima gara. Avrebbe potuto finalmente godersi la vita, invece siamo qui a piangerlo troppo presto».

Eros Maccioni

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