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Il campione morto a 51 anni

Rebellin, l'ultima intervista: «Non scorderò mai la prima vittoria a Povegliano. Il rimpianto? Il mondiale»

La prima corsa nel ’92, l’ultima il 16 ottobre: in mezzo 70 vittore e anche due Giochi e 6 giorni in rosa al Giro del 1996
Alcuni momenti della carriera di Davide Rebellin
Alcuni momenti della carriera di Davide Rebellin
REBELLIN, TRENT'ANNI DI SUCCESSI

Davide Rebellin è morto il 30 novembre 2022 dopo essere stato travolto da un camion. Questa è una delle sue ultime interviste, raccolta da Renzo Puliero a pochi giorni dal suo ritiro

 

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Prima corsa con i pro: 5 agosto 1992, quattro giorni prima del suo 21esimo compleanno; ultima corsa, 16 ottobre 2022, a 51 anni compiuti alla Veneto Classic: in mezzo 70 vittorie, una maglia iridata da junior nella 70 km, 6 giorni in maglia rosa al Giro 1996, due partecipazioni ai Giochi olimpici, un periodo da n. 1 al mondo, grande esempio di dedizione alla bici e al ciclismo e uno dei migliori corridori italiani e nel mondo. Davide Rebellin chiude la carriera agonistica dopo 30 stagioni con i big del pedale, ma continuerà «ad andare in bicicletta». Da lunedì 17 ottobre «non cambierà molto per me, solo non metterò la stessa intensità nell’allenamento, ma in bici andrò sempre».

Rebellin, aveva cominciato da B2 con la Pizzini di Malcesine.
Ricordo le prime gare: eravamo un gruppo di ragazzini della mia zona, ci si trovava per gli allenamenti seguiti da Lino Disconzi a da mio zio, Mario Gattere. Vincevo cinque-sei gare di media ogni anno.

La prima volta?
A Povegliano il primo anno.

Poi, da juniores alla Riboli val d’Illasi.
Alla “scuola Cordioli”, dove sono cresciuto, ho cominciato a fare le prime gare internazionali, dove mi hanno insegnato i metodi di allenamento. Ho imparato come correre, come allenarmi, il gioco di squadra in una società ben organizzata con Gianni Tebaldo presidente, Beppe Cusini diesse accanto al dotor Lucio. Una famiglia.

Da Under ha corso con l’Opel Vighini.
Con Billy Ceresoli diesse. Estroverso, sapeva trasmettere il suo entusiasmo ai corridori e ha avuto un ruolo importante nella mia crescita.

Esordio con i prof nel 1992 a Camaiore, come Pantani, prima vittoria nel 1993 all’Hofbrau Cup in Germania.
Senza alzare le braccia perché era una corsa a tappe dove non ho vinto una tappa. La prima a mani alzate è stata nel 1995 in volata su 40 corridori in una tappa del Giro del Trentino, davanti Frattini, Ferrigato, Fondriest, Berzin.

 

 

Ha avuto una crescita graduale.
Con Ferretti, all’Mg, facevo tanti piazzamenti, ma poche vittorie.

Al Giro 1996, tappa e sei giorni in rosa hanno fatto pensare potesse diventare corridore da corse a tappe.
Anche perché oltre al 6° posto al Giro, ero stato 7° alla Vuelta, tanto che l’anno dopo, nel 1997, la Francaise des Jeux mi aveva preso come uomo di classifica per il Tour, solo che avevo problemi fisici e non ho ottenuto i risultati che speravo. Subito dopo quel Tour, ho vinto la Clasica di San Sebastian e poi a Zurigo, gare di Coppa del mondo. Per un paio d’anni, ho continuato a cercare di fare classifica nei grandi Giri, ma non riuscivo a migliorare, avevo sempre un calo nell’ultima settimana e non digerivo le grandi montagne, non ero competitivo a livello dei migliori e così ho scelto di dedicarmi alle classiche.

Al Giro è tornato più volte.
Dove andavo bene nella prima parte, poi calavo anche perché la preparazione, ormai, era impostata sulle classiche di primavera.

Ne ha vinte diverse.
Il trittico Amstel-Freccia-Liegi in otto giorni nel 2004 è la gemma. Soprattutto, è stato bello vincere la Liegi, la corsa che sognavo sin da bambino, quando vedevo vincere Argentin.

Alla Freccia ha fatto tripletta.
La gara che più mi si addiceva con finale sullo strappo del muro di Huy, un arrivo esplosivo dove sapevo esprimermi al meglio.
Nelle brevi corse a tappe era protagonista: ha vinto Parigi-Nizza, Tirreno-Adriatico, Brixia Tour. Mi difendevo nelle crono e sulle salite che non erano nelle grandi montagne.

Ha corso 9 volte i Mondiali.
È la vittoria che più mi manca. Il rimpianto è per il 2004 al Mondiale di Verona, che non ho fatto. Avevo capito che non sarei stato convocato. Ero leader in Coppa del mondo e non essere al Mondiale mi dispiaceva.

A Verona c’era nel 1999, ma è caduto.
Con Bartoli ero uno dei leader della squadra, ma sono caduto prima delle Torricelle. Uno spettatore si era sporto troppo verso la strada e Tafi, davanti a me, lo aveva investito e io, dietro, non ho potuto evitarlo, rimediando più fratture. In altri Mondiali, vedi i due anni di Bettini, mi sono sacrificato per la squadra. Il miglior piazzamento il quarto posto nel 2008, con Ballan primo e Cunego secondo.

 

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