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Una serie Tv podcast tutta da ascoltare

Posso consigliarvi di guardare una cosa, e al contempo di non guardarla? Sembra un paradosso ma è il paradosso di Calls, show appena distribuito da Apple TV+. In questa originale e innovativa serie non c’è, infatti, (quasi) niente da vedere. Ma c’è molto da ascoltare, e ancora di più da godere, con un misto di sconcerto e partecipazione. Ma basta con gli enigmi. Calls, coproduzione tra Apple TV+ e Canal+, creata da Timothée Hochet a partire dal suo omonimo lavoro precedente e diretta da Fede Álvarez (anche sceneggiatore principale), tiene fede in modo perfetto al proprio titolo: al centro di ciascuna delle 9 brevi puntate (tra i 13 e i 20 minuti ciascuna) ci sono delle chiamate. Telefoniche, o radiofoniche. Che ascoltiamo e basta. Senza vederne mai gli interlocutori. Perché non vediamo proprio niente! Solo delle grafiche minime, quasi da salvaschermo, che riproducono onde, crepitii, interferenze, oltre a riportare (cosa utile) i nomi di coloro che stanno parlando in ogni dato momento. LA TRAMA Puro esercizio di stile? Non proprio. E la cosa si chiarisce appena si inizia. Dalla fine, o quasi: quando un misterioso evento cataclismatico sta per alterare profondamente, o distruggere, il mondo come lo conosciamo. Le puntate successive tornano indietro di qualche mese: raccontando micro-storie che, una alla volta, suggeriscono indizi coerenti con quanto abbiamo inizialmente percepito. Uno sfasamento della nostra realtà, o l’incrocio innaturale con un piano dimensionale parallelo, sta producendo fenomeni inspiegabili: persone che si trovano a parlare con se stesse, dal futuro o dal passato; doppelgänger che si materializzano a distanze di migliaia di chilometri; eventi che si ripetono in loop; esistenze che cessano perché l’intervento su una linea temporale ne produce la necessaria cancellazione. “È stato l’Universo”, come titola un episodio centrale. Il formato puramente vocale, così, consente di strutturare un racconto di ambizioni narrative enormi, potentemente metafisiche: gestendo la materia in totale libertà, senza i problemi della sua (difficile, scivolosa) rappresentazione visiva. E, in un certo senso, chiedendoci una partecipazione ancora più attiva: avendo reso inutile il nostro bombardatissimo senso primario, la vista, possiamo concentrarci su ciò che sentiamo, uditivamente ed emotivamente; e su ciò che immaginiamo. È un podcast, per dirla con termini d’oggi? O, guardando a modelli di ieri, un radiodramma? Un po’ e un po’, e nessuno dei due. È, alla fine, una storia: una delle più belle, angoscianti, struggenti di questi ultimi mesi. Vista, ascoltata, immaginata - fate voi.

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