<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Al teatro Romano per Festival della Bellezza

Un Barbareschi in stile Casanova
«Per me conta il potere delle idee»

Luca Barbareschi sarà al Teatro Romano per il Festival della Bellezza
Luca Barbareschi sarà al Teatro Romano per il Festival della Bellezza
Luca Barbareschi sarà al Teatro Romano per il Festival della Bellezza
Luca Barbareschi sarà al Teatro Romano per il Festival della Bellezza

Attore, regista, produttore per la tv e il cinema, autore e conduttore. Ma anche sceneggiatore, personaggio televisivo ed ex politico. Luca Barbareschi è nato in Uruguay, a Montevideo, nel 1956, e dei calciatori di quella parte del Sudamerica sembra avere la «garra», cioè la tenacia, lo spirito, la determinazione e la voglia di crederci, sempre, buttandosi in ogni avventura con tutte le forze.

 

Per il Festival della Bellezza, la manifestazione ideata e diretta da Alcide Marchioro, organizzata da Idem in collaborazione con il Gruppo Athesis, e promossa dal sindaco Federico Sboarina e dall’amministrazione comunale di Verona, Barbareschi sarà in scena al teatro Romano lunedì 31 agosto alle 21.30 con una riflessione su «L’appeal dell’avventura e Casanova».

 

Barbareschi, al Teatro Romano sarà un ritorno lungamente atteso, vero? «Sì, da più di 40 anni. Ci sono venuto a metà anni ’70 con un Enrico V diretto da Virginio Puecher con Gabriele Lavia. È stato il mio debutto a teatro. Dopo lo spettacolo sono andato a suonare la chitarra fino a tarda notte in piazza Erbe».

 

E poi? Basta? «Eh, non mi hanno più voluto al Teatro Romano! Chiedevo se potevo portare qualche spettacolo, un allestimento, una mia regia, e mi dicevano: Eh, adesso è tardi! Ci spiace; dovevi chiederlo prima! Ogni volta così. E poi un anno ho proposto un Riccardo III, spiegando che faceva ridere, non nel senso comico, ma perché è l’unico Shakespeare col protagonista che parla alla gente e, siccome è cattivissimo, fa ridere - l’ho visto fare così a Kenneth Branagh. Quando ho chiesto di portare il testo al Romano, mi hanno detto di no. L’idea, però, me l’hanno rubata per darla a Enrico Montesano che fece un Riccardo III serio con aggiunta di battutacce. C’è chi ama l’idea del potere e chi, come me, il potere delle idee. Ne parlerò al Festival della Bellezza. Anzi, partirò proprio da qui…».

 

Lei parlerà di Casanova, considerato a suo tempo un sovversivo, un po’ come lei… «Sovversivo è una parola grossa. Io non ho mai sparato come quelle me*** dei terroristi italiani, di destra e di sinistra. Sono sempre stato dentro la legge. Sono per la dialettica. Sono orgogliosamente ebreo e dell’ebraismo mi piace la capacità di rispondere a una domanda con un’altra domanda, intelligente, per evitare che la semplificazione della risposta offenda l’intelligenza dell’interlocutore. Noi ebrei cresciamo allenati da una Torah che non è dogmatica, ma interpretabile. L’esegeta e filosofo Hillel dice una cosa, ma l’esegeta e filosofo Shammai dice l’opposto».

 

Dunque lei è ebreo ma è di destra… «Questa è una definizione che gli altri danno di me. Io sono stato socialista finché c’era Craxi. E poi ci fu Tangentopoli, che io considero un golpe degli Stati Uniti per indebolire l’Italia. Dopo la diaspora dei socialisti, non potevo certo andare coi comunisti che, pur rubando come gli altri, si chiamarono fuori ed ebbero così salva la vita, scaricando tutto su un capro espiatorio. Si tratta di una mossa dal sapore molto italiano: mai fare mai i conti con se stessi e dare la colpa ai vari Craxi, Andreotti, Mussolini… Infatti nel momento in cui decisi di candidarmi in politica, poi, scelsi Berlusconi e Fini».

 

Insomma, lei è di destra. «Vedete, il problema non è essere di destra o di sinistra. Il problema è non rubare e pagare le tasse – e io sono uno dei pochi in Italia a pagarle tutte. Detto ciò, mi mantengo coerente con quello che sono».

 

Lei ha prodotto una fiction su Walter Chiari per la Rai. Che affinità trova con Chiari, tra l’altro nato a Verona, da genitori pugliesi? «Da ragazzo non volevo fare l’attore, volevo fare Walter Chiari. Adoravo la sua capacità di salire sul palco e parlare all’infinito. Lo spettacolo non era ancora iniziato, lui era in scena da un’ora e il pubblico era piegato in due dalle risate. E poi non era politico: prendeva in giro tutti. Era senza freni. Per me è stato un vero maestro».

 

Abbiamo letto che quella fiction l’aveva promessa allo stesso Chiari… «Sì, quando gli scipparono la Coppa Volpi come migliore attore alla Mostra del Cinema di Venezia 1986. Invece di premiare Walter in “Romance”, diedero il riconoscimento a Carlo Delle Piane per “Regalo di Natale” di Pupi Avati. Ciriaco De Mita, per vendetta contro Walter che non era amato dal potere, fece dare la Coppa Volpi a Carletto che, con tutto l’affetto, non aveva la stessa statura artistica. E nella fiction racconto la “truffa di Venezia”. Appunto: c’è chi ama l’idea del potere e chi, come me, il potere delle idee». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giulio Brusati

Suggerimenti