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La prima in Arena: la recensione

Cristalli, elmetti e giochi di luci. E Netrebko è un'Aida stellare

di Elena Biggi Parodi
Sorprende la regia di Poda. Un cast a livelli altissimi, con Eyvazov, Petrova, Burdenko e Pertusi
Una scena di «Aida» (foto Brenzoni)
Una scena di «Aida» (foto Brenzoni)
Aida 2023 in Arena (foto Ennevi)

Bianco rosso e verde dei vestiti di centinaia di coristi, mentre le Frecce tricolori che svettano nel cielo si congiungono all'Inno di Mameli prima dell'opera, precedendo il canto dolcissimo che Verdi affida a Radamès quando si rifiuta di fuggire con Aida: «Abbandonar la patria... il ciel dei nostri amori, come scordar potrem?». È la consapevolezza dell'arte italiana questa Aida di Stefano Poda, l'arte della musica, che in Italia nel Seicento inventa l'opera e la scienza degli accordi, l'arte della poesia, basti pensare a Montale e Saba, dove interi versi alludono a memorie operistiche. Il maggiore pregio di questa Aida è la sinergia con la musica.

Poda non la sovraccarica di immagini che potrebbero rubarle la scena, impegnando l'ascoltatore a decodificare mille elementi compresenti. Piuttosto è allusiva, come un'istallazione della Biennale. Ciò che si vede sull'enorme palcoscenico è una folla che innalza delle mani, come la copertina del disco «Il mio canto libero» di Lucio Battisti, l'immaginario comune di una generazione. Sui gradoni di destra del palcoscenico è adagiata in pezzi, come una rovina, una enorme colonna, sulla sinistra fumanti alcuni residuati bellici. Il pensiero di Aida, la sua fisicità giovane, delicata, giunge subito con la sua melodia presentata nella sinfonia d'introduzione dal flebile suono dei violini divisi e continua nel cuore di Radamès quando ogni frase della sua «Celeste Aida» viene commentata da due violini soli con un purissimo "fa" acutissimo. Yusif Eyvazov muove la celebre romanza con l'appoggio giusto dei fiati e una potenza commisurata all'eleganza. Olesya Petrova, che lo raggiunge nella parte di Amneris realizza con grazia sicura le nobili terzine della sua melodia, illuminata dal colore grave dei bei suoni dei corni areniani, senza sbavature, con fagotti e archi.

Quando arriva Aida, anticipata magnificamente dal clarinetto con la sua melodia, che provoca il turbamento di Radamès (ma anche degli spettatori), la scena è modernissima, con l'illuminazione che proviene dal basso e un pavimento di cristallo che consente che le masse sceniche appaiano e scompaiano come per miracolo, inghiottite dal suolo. Avevamo già celebrato Anna Netrebko nel ruolo di Aida nella passata stagione, ma adesso, complice anche la regia, è veramente straordinaria. Sublime momento il terzetto, in cui la melodia di Eyvazov si nasconde fra le pieghe di quella di Amneris mentre la voce della Netrebko svetta.

La scena si espande sui gradoni all'arrivo del re, preceduto dalle guardie e realizza una di quelle emozioni che è possibile ricevere solo qui. Sono tutti bianchi con i raggi laser delle armi da guerre stellari, contornati da una folla di esseri con elmetti metallici dalle teste di animali. L'effetto di polifonia spaziale creato da Verdi con la parola «guerra» che rimbalza da una sezione corale all'altra, (anticipando i più moderni esempi di sound design), diviene un'esperienza unica nell'enormità di questo palcoscenico. Insuperabile Netrebko nel compiere la successione dei momenti contrastanti che albergano nel cuore di Aida. Leggera e agile nelle movenze vocali e attoriali, con un'intelligenza musicale che davvero fa pensare alla Divina Callas: fiati lunghissimi con soluzioni vocali continuamente originali e cangianti; come quando su “Numi pietà“ i filati impalpabili si ispessiscono gradatamente e realizzano la messa di voce. Le quattro sezioni musicali della sua scena sono valorizzate dallo splendido apporto delle sezioni solistiche strumentali, il clarinetto (che suggerisce il pensiero di Radamès che le si affaccia alla mente), e l'oboe che ci parla della sua nostalgia per la patria lontana.

Fortissima anche la seconda scena nel tempio di Vulcano: una sfera di metallo si innalza altissima nel cielo, come un satellite che trasmette la preghiera di Radamès su cui si inserisce l'insieme di timbri educati del coro areniano con «Nume custode e vindice di questa sacra terra» che lascia senza fiato. Poda ha curato anche i balli e l'operazione, che sulla carta destava qualche perplessità, invece si è rivelata vincente. I semplici gesti realizzati in modo perfettamente sincronico nell'immenso spazio si inseriscono senza cesure nella vicenda narrata dalla musica, suggerendo un effetto cerimoniale e rituale. Armiliato concerta dipanando ogni linea musicale, costruendo con cura l'ordito espressivo di coro e orchestra su cui si staglia ineffabile e commovente la voce della Netrebko. Con le ottime voci di Roman Burdenko come Amonasro e Michele Pertusi come Ramfis è questo il livello al quale ci piace essere rappresentati nel mondo. 

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