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L'intervista

«Shakespeare e attualità. Così il Festival ha vinto la sfida dell’innovazione»

Carlo Mangolini direttore artistico dell’Estate Teatrale Veronese al museo Maffeiano
Carlo Mangolini direttore artistico dell’Estate Teatrale Veronese al museo Maffeiano
Carlo Mangolini direttore artistico dell’Estate Teatrale Veronese al museo Maffeiano
Carlo Mangolini direttore artistico dell’Estate Teatrale Veronese al museo Maffeiano

Un Festival Shakespeariano capace di vincere non soltanto la sfida dei limiti e dei condizionamenti imposti dalla pandemia, ma anche quella, in questo caso voluta e perseguita con impegno, del rinnovamento. Undici serate (sei al teatro Romano e cinque al Museo Lapidario Maffeiano) che hanno portato all’Estate Teatrale Veronese 2021 un cartellone dedicato a Shakespeare fatto di segnali e approcci differenti, capace di muoversi con abilità tra tradizione e innovazione.

A conclusione di questa importante «tranche» della programmazione estiva che è appunto il Festival Shakespeariano, il direttore artistico Carlo Mangolini traccia con noi un primo bilancio e una prima riflessione sulle proposte andate in scena e sui risultati registrati anche in termini di pubblico.

Partiamo proprio dal pubblico: rispetto allo scorso anno, questa Estate Teatrale ha avuto la possibilità di una capienza maggiore al Romano, oltre 500 posti. Spesso esauriti o quasi, per i titoli shakespeariani. Un risultato che la vede soddisfatto? Siamo molto soddisfatti del risultato perchè abbiamo visto un pubblico partecipe e convinto, talvolta anche un pubblico nuovo, più giovane, magari meno abituato a frequentare il Romano per il Festival, e questo era uno degli obiettivi fondamentali che ci eravamo proposti nel realizzare il cartellone con l’assessore alla Cultura Francesca Briani, nei mesi impegnativi della programmazione, quando, per la pandemia, molto era ancora incerto e precario. Non serve probabilmente ripetere che realizzare il cartellone di un Festival in queste condizioni non è facile, che molte scelte restano condizionate dai limiti imposti. Eppure siamo riusciti nell’intento e in questo senso mi sento di dire che la nostra sfida è stata vinta. Abbiamo puntato su proposte differenti, articolate, che alla base avevano la multidisciplinarietà e l’attualità come elementi connotanti. Il Maffeiano è stato esaurito quasi tutte le sere, il Romano ha fatto quattro esauriti e una presenza del 70% nelle altre sere. E gli applausi convinti sentiti alla fine degli spettacoli sono - al di là dei numeri - un forte segnale di conferma.

Da Paolo Rossi a Preziosi, ma anche Sangati e Sinigaglia e il Titus con Bob Marchese: un Festival che ha parlato il linguaggio del teatro andando oltre il richiamo di nomi noti al grande pubblico grazie al cinema e alla tv. Anche questa una fida non facile. Una sfida che ha dimostrato che il teatro ha il suo richiamo comunque. Certo è vero che quando uno spettacolo ha per protagonista un attore molto noto al pubblico l’appeal è più immediato, ma credo che proprio questo cartellone mostri come il teatro sia capace di un suo linguaggio oltre il nome ad effetto, se sa parlare un linguaggio attuale, se sa restituirci i grandi testi facendoceli sentire nostri, capaci di parlarci di qualcosa che ci appartiene. Tre sono stati i filoni che ho seguito per questa edizione del Festival: prima di tutto il nuovo teatro di regia, intendo qui gli spettacoli firmati da Giorgio Sangati con il suo Sogno e da Fabrizio Arcuri con The Mistery oh Hamlet, che rileggono Shakespeare portandolo però anche verso altre direzioni, con una attenzione all’attualità. Poi sicuramente le riscritture, dall’Amleto di Paolo Rossi alle Comari di Windsor della Sinigaglia. E ancora la multidisciplinarietà, intesa come dialogo e commistione tra le varie arti: ecco ancora Arcuri che con Nigro ci ha regalato un mix tra teatro, cinema e musica, e il Titus di Piermario Vescovo che ha sposato il teatro di narrazione con quello di figura, con un uso originale dei burattini. Ecco insomma: far convivere tradizione e innovazione, rispettare la storia e il carattere del Festival shakespeariano, ma con la sfida di portare sul palco del Romano nomi e lavori capaci di rendere Shakespeare vicino al nostro tempo.

Tra le novità, il Maffeiano, che per la prima volta ha ospitato spettacoli di prosa. Potrà diventare una consuetudine? Anche questa è stata una scommessa vinta: il Museo Lapidario si è rivelato luogo di straordinaria suggestione come palcoscenico shakespeariano, capace di stregare il pubblico. Si tratta di un luogo davvero perfetto per messe in scena di un certo tipo, come è stata la tragedia romana del Titus, che qui ha trovato la sua perfetta ambientazione. Se qualcosa funziona, meglio farne tesoro. 

Alessandra Galetto

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