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Il concerto in Arena

Scorpions, rock senza età. E ora il «vento di pace» soffia forte per l'Ucraina

Scorpions in Arena (Vincenzi)

«Wind of change» degli Scorpions, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, era stata la colonna sonora che aveva accompagnato la fine della Guerra fredda. La band tedesca, l’altra sera in Arena per festeggiare i cinquant’anni di carriera, l’ha ripresa fra plettri, bacchette e voce con una dedica tutta nuova.

Dal palco per mezzo secolo hanno visto l’Europa cambiare, spezzettarsi e riunirsi. Sono passati anni, ma il seme malato della guerra continua a crescere: «Questa è per l’Ucraina», dice Klaus Meine prima di iniziare a cantare, e dalla platea si alzano bandiere giallo e azzurre. è una delle poche ballad del gruppo tedesco e l’anfiteatro canta a squarciagola. Sul ledwall alle spalle del gruppo, compare un immenso simbolo della pace. Applausi. Sul palco il vero mattatore è il batterista Mikkey Dee.

L’ex Motörhead si prende tutta la scena verso la fine con un assolo (lunghissimo) a cui arriva in fondo stremato. L’Arena si alza in piedi per lui mentre compare in video un jackpot sbancato che sputa incessantemente monete. È l’apoteosi. I settemila, forse qualcosa in più, dell’anfiteatro gli tributano la standing ovation ed è da lì che ci si avvia verso la fine del concerto. Il live, riavvolgendo il nastro, inizia alle 21,30, quando sul cielo di Verona comincia davvero a fare buio. L’uomo di frontiera della band tedesca è Rudolf Schenker, sempre sul limite dal palco quasi a volersi lanciare, prima o poi, fra la sua gente. Come quando dopo il break di Dee rientra in scena con una specie di marmitta attaccata alla chitarra che spara fumo. Così inizia «Blackout».

Occhiali indossati sempre, quello è un must, e musica dura sparata sul pubblico. Per il saluto a Verona ci pensa Meine: «Ci siete mancati, ci è mancato questo magnifico posto. Dopo quello che è successo non sapete quanto siamo felici di essere qui». Il tutto anticipato da un «Buonasera Verona, come state?», in italiano. Gli Scorpioni pungono Verona per un’ora e mezza di rock puro. Erano da quel concerto del 2018 che i fan li aspettavano in città.

Il pubblico è di tutte le età: cosa che non ti aspetteresti per un gruppo fondato nel 1965, ad Hannover. E invece fra i gradoni e la platea ci sono ragazzi - tantissime le magliette con la scritta Scorpions - ma anche bambini e pure chi in quel 1965, forse, era coetaneo di Schenker. «Send me an angel» arriva come fosse una carezza dopo gli assoli di Matthias Jabs e quello del bassista Paweł Mąciwoda (accompagnato sempre da Dee). Servono le chitarre acustiche qui. Meine scalda il suo popolo e con «Send me an angel» si alza anche una distesa di cellulari. Gli ultimi colpi degli Scorpions sono la botta finale, quella che tutti aspettavano. «Verona… Still loving you», la dedica prima dell’ultima canzone. Con «Rock you like a hurricane» si chiude il live e le luci si accendono. 

Nicolò Vincenzi

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