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Rigoletto monumentale
La «stella» di Terranova
fa emozionare l’Arena

Il Rigoletto, capolavoro di Giuseppe Verdi, ha debuttato ieri sera in Arena FOTO BRENZONIPrima assoluto in Arena per il baritono Amartuvshin Enkhbat
Il Rigoletto, capolavoro di Giuseppe Verdi, ha debuttato ieri sera in Arena FOTO BRENZONIPrima assoluto in Arena per il baritono Amartuvshin Enkhbat
Il Rigoletto, capolavoro di Giuseppe Verdi, ha debuttato ieri sera in Arena FOTO BRENZONIPrima assoluto in Arena per il baritono Amartuvshin Enkhbat
Il Rigoletto, capolavoro di Giuseppe Verdi, ha debuttato ieri sera in Arena FOTO BRENZONIPrima assoluto in Arena per il baritono Amartuvshin Enkhbat

“Rigoletto” di Verdi, si è presentato ieri sera in Arena, nella monumentale e tradizionale spettacolarità che si rifaceva all’edizione del 1928 firmata da Ettore Fagiuoli, della quale lo scenografo Raffele Del Savio ha rispettato i criteri fondamentali. L’impianto cattura l’attenzione e coinvolge emotivamente per la suggestiva ricostruzione architettonica dei luoghi d’ambientazione, ideati su spaccati in sezione degli edifici che producono grandi effetti di profondità. Minuziosi tutti i dettagli, sia delle mura merlate con l’imponente castello dei Gonzaga a Mantova, sia sul palcoscenico, dove si alternano le sale della reggia a Palazzo Te – con i loro preziosi affreschi di Giulio Romano - una grande terrazza pensile attraversata da un ponte (rigorosamente di Fagiuoli) e la casa di Sparafucile immersa in una notturna laguna, densa di vapori e di sinistri presagi. Efficace il brevissimo cambio dei due quadri del primo atto, dalla reggia alla casa di Rigoletto, non altrettanto quello tra il secondo e il terzo atto dell’opera.

La regia di Ivo Guerra ha introdotto alcune innovazioni tutt’altro che disprezzabili. Rigoletto nel punto della maledizione è condannato non solo da Monterone, ma dall’intera corte gonzaghesca, tanto cinico appare il suo gesto.

Nel secondo atto, quando viene bendato, rimane a reggere una seconda scala e non quella usata per rapire Gilda. L’incontro a due, padre e figlia nel secondo atto, è di una progressione inesorabile e la giovane arranca come una peccatrice mai veramente perdonata. Suggestiva per noi questa Mantova che Guerra ha visto dagli inizi, acquitrinosa e melmosa in proscenio, con sirene seminude e tritoni e molte giovani cortigiane dimesse e spaurite a definire questo mondo chiuso, perverso di un duca libertino e dissoluto, ma anche soffocante, in disfacimento, che non lascia speranza e vie d’uscita. Di prassi i ricchi costumi di Carla Galleri.

Sul piano interpretativo l’opera presentava tre autentici campioni di bel canto di cui l’Arena può andare fiera. Nella parte del protagonista debuttava il giovane baritono mongolo Amartuvshin  Enkhbat, cantante di estrema generosità, che sembra conoscere di Rigoletto (nonostante i soli 30 anni) ogni segreto, invenzione, accento.

La sua dizione è perfetta nel porre in evidente rilievo tutte le frasi più angosciose del tormentato personaggio verdiano: un padre di immensa dimensione drammatica che si è meritato entusiastiche ovazioni.

Ma in palcoscenico si è imposta, più che mai, la stella di Gianluca Terranova, un duca di Mantova irridente e spavaldo, in gran spolvero, dalla voce fluente, facile e spontanea, dove la linea musicale è affascinante e la presenza scenica disinvolta.

Il tenore romano è oggi una sicura realtà. Al suo fianco Elena Mosuc: una Gilda tenera e dolce, di convincente musicalità, delicata e dal fraseggio morbido, seducente, conquistando anche lei un larghissimo attestato di simpatia dal pubblico.

Anna Malavasi come Maddalena e Andrea Mastroni come Sparafucile si sono mostrati due veri interpreti di lusso. Apprezzabili nei ruoli di fianco, la Giovanna della veronese Alice Marini e tutti gli altri minori, dall’ottimo Nicolò Ceriani come Monterone, al Marullo dell’affidabile Marco Camastra, al Matteo Borsa di Francesco Pittari, ai conti Ceprano di Marina Ogii e Dario Giorgelé.

L’opera è stata affidata a Julian Kovatchev che ha diretto con la competenza che gli riconosciamo.

Della ricchezza strumentale della partitura, che è poi l’intuizione della penetrazione timbrica del suono, è stato colto l’aspetto più sgargiante, una sorta di variopinta veste al testo, di dimensione esteriore che si imparenta con la vastità degli spazi areniani. Bene il coro maschile diretto da Vito Lombardi, pronto e sicuro.

Al termine vibranti applausi per tutti da una folta Arena. Rigoletto torna giovedì prossimo. Le altre date il 14, 19 e 21 luglio con inizio sempre alle 21.

Gianni Villani

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