<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

«Nabucco è nel mio cuore Quando diressi il pubblico resta il ricordo più bello»

Dal 1989 a oggi, il maestro Daniel Oren è salito sul podio di «Nabucco» per ben nove edizioni del festival areniano e anche quest’anno è tornato in Arena come unico direttore del capolavoro verdiano, opera a cui è legatissimo. Ci racconti il suo rapporto con «Nabucco» da direttore ebreo e israeliano. Come tutti gli ebrei, sono molto legato alla nostra storia e quest’opera la racconta perfettamente. Magari per voi è una metafora, ma per noi non lo è: abbiamo sempre desiderato una casa e un posto in cui essere liberi. Preghiamo tutti i giorni di tornare a Gerusalemme e anche la preghiera delle diciotto benedizioni (Shmoneh Esreh) è rivolta verso la Città Santa. Penso che Giuseppe Verdi non sia stato solo un genio musicale (forse il maggiore di tutti), ma anche un grande profeta: con «Nabucco» ha previsto il ritorno del nostro popolo in Israele. Ogni volta che lo dirigo, tremo e, quando arrivo al pezzo più importante, il «Va, pensiero», tutti tremano con me, specialmente gli artisti del coro areniano. Loro sanno da anni che lo faccio in modo particolare, come se fosse una preghiera. Vive la musica come una preghiera? Assolutamente sì e questa è la più grande preghiera esistente al mondo. Persino dopo la prova generale alcune persone sono uscite con le lacrime agli occhi: è il segnale che sono arrivato ai loro cuori. Le persone associano d’istinto «Nabucco» al «Va, pensiero», ma a quali altri punti dell’opera vorrebbe che il pubblico prestasse particolare attenzione? Personalmente vado pazzo per i concertati di Verdi e «Nabucco» ne è pieno. Puoi avere sul palco un gruppo di personaggi, ciascuno dei quali dice la propria e attraverso la musica tutto si amalgama. Questo è il miracolo della musica e, davanti a ogni concertato verdiano, mi inchino. Un suo ricordo particolare legato a «Nabucco» in Arena? Tutte le edizioni fatte qui mi hanno regalato grandi emozioni, ma ricordo in particolare l’allestimento del 1989 con regia, scene e costumi Vittorio Rossi, che era un genio. Insieme abbiamo deciso di concedere il bis del «Va, pensiero» facendo scendere il coro (all’epoca composto da 180 elementi) in platea fra gli spettatori. Si sono alzati tutti, io mi sono girato e ho diretto il pubblico: è stato un «Nabucco» che non dimenticherò mai. Un pensiero sui cast areniani del «Nabucco» 2021? La mia fortuna in Arena è stata quella di avere sempre avuto a disposizione grandi artisti e quest’anno devo dire che sono riusciti ad assemblare una serie di ottime compagnie di canto, a partire dal primo cast, in cui ci sono Anna Pirozzi (per me l’Abigaille migliore al mondo), il bravissimo basso Rafał Siwek e quel miracolo baritonale che risponde al nome di Amartuvshin Enkhbat, che canta in italiano meglio di un italiano perché ascolta i grandi come Ettore Bastianini e Piero Cappuccilli. Questa è un’ulteriore virtù perché oggi molti ragazzi non vogliono ascoltare nessuno e certi si vergognano persino di farlo. Sbagliato: ascoltando si impara, c’è la storia, ci sono le tradizioni e si può apprendere dai grandi. Quando, nel 1975, vinsi il Concorso Herbert von Karajan a Berlino, il maestro mi disse: «La vostra generazione è fortunata. Prima non c’era alcun riferimento o memoria storica. Adesso, invece, con i dischi potete imparare tutto». È esattamente quello che sta facendo Enkhbat e i risultati si sentono. Nel valore di un cast c’è tutta la differenza fra il darmi un pianoforte scassato o uno Steinway. Se vogliamo pensarla in termini di violino, quest’anno mi hanno dato uno Stradivari.•.

Angela Bosetto

Suggerimenti