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Lang, se l’espressionismo incontra il noir americano

Classico M - Il mostro di Düsseldorf
Classico M - Il mostro di Düsseldorf
Classico M - Il mostro di Düsseldorf
Classico M - Il mostro di Düsseldorf

Per quanto contestati, i film sui serial killer sono un genere cinematografico capace di oscillare fra l’infimo e il sublime. A onor del vero, rientrare nella seconda categoria è molto più difficile, ma, quando il miracolo accade, può scaturire un autentico capolavoro, come prova da novant’anni «M – Il mostro di Düsseldorf», prima pellicola con protagonista un maniaco omicida e primo lungometraggio sonoro del grande Fritz Lang, che, con questo implacabile thriller psicologico, crea un ideale anello di congiunzione fra l’espressionismo tedesco e il noir americano. Ispirato a due autentici assassini seriali, Fritz Haarmann (soprannominato «il licantropo di Hannover» e giustiziato nel 1925) e Peter Kürten (il famigerato «Vampiro di Düsseldorf», che all’epoca delle riprese non era ancora stato catturato), «M – Il mostro di Düsseldorf» venne distribuito in Germania nel maggio 1931, ma, causa censura, giunse in Italia solo nel 1960 e pure sforbiciato. Considerando la morale del periodo, non c’è da stupirsi dato che la storia (scritta dal regista insieme alla moglie Thea von Harbou) ruota su uno psicopatico serial killer di bambine (uno straordinario Peter Lorre), vittima dei suoi stessi demoni. Dato che la polizia non riesce a prenderlo e le indagini disturbano gli affari della malavita, questa decide di occuparsi personalmente del caso. Grazie a un mendicante cieco, i criminali prima riescono a identificarlo (tracciandogli sulla giacca la M di Mörder, assassino) e poi a catturarlo. Ed è nel grottesco processo conclusivo che Lang tira fuori il proprio spiazzante asso: condannare a morte qualcuno che ha dei gravi problemi psichiatrici (e che con tutta probabilità ha subito terribili abusi) è davvero giustizia? Oppure serve solo a placare l’atavica sete di sangue della folla?•.

Angela Bosetto

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