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INTERVISTA A IDAN RAICHEL

«La mia musica,
da Israele a Mina
e Celentano»

Il compositore e cantante israeliano Idan Raichel, a breve in tour in Italia FOTO BENJO ARWAS
Il compositore e cantante israeliano Idan Raichel, a breve in tour in Italia FOTO BENJO ARWAS
Il compositore e cantante israeliano Idan Raichel, a breve in tour in Italia FOTO BENJO ARWAS
Il compositore e cantante israeliano Idan Raichel, a breve in tour in Italia FOTO BENJO ARWAS

 

Chi non conosce Idan Raichel ha comunque ascoltato il suo brano che Mina e Celentano hanno «preso in prestito» per realizzare il singolo «Amami amami». Il musicista israeliano sarà in tour in Europa dal 19 febbraio. Tre le tappe italiane: il 21 al Blue Note di Milano; il 22 al teatro Camploy di Verona; e il 25 alla Sala Vanni di Firenze. Al teatro veronese Raichel darà il via alla rassegna «Tendenze». Tastierista, produttore e compositore, è il titolare dell’Idan Raichel Project: oltre 95 musicisti provenienti da ogni parte del mondo.

 

Come saranno il tour italiano e il concerto al Camploy?

Per me saranno una sfida. Da solo, piano e voce. Non vedo l’ora. Sarà come invitare il pubblico nel salotto di casa mia, per scoprire il processo intimo della composizione delle canzoni. Chi conosce i miei dischi, ascolterà come nascono. Chi non ha familiarità con la mia musica, potrà ascoltare composizioni in forma molto schietta, solo voce e melodia. Sono brani israeliani, certo, ma hanno attraversato i confini della mia terra. Come «Amami amami» di Mina e Celentano: all’inizio era una canzone d’Israele; poi è diventata internazionale. Le mie canzoni hanno qualcosa di folk nel loro Dna: chi non conosce la mia lingua può apprezzarle lo stesso. Come hanno fatto Mina e Celentano.

 

Lei ha collaborato per il suo Project con un centinaio di musicisti di diverse nazionalità. Non ha perso un po’ d’identità?

No, perché da sempre mi sento un musicista internazionale. Anche quando vivevo in Israele, la società intorno a me era formata da persone provenienti da ogni parte del mondo. Come gli emigranti che ora arrivano in Europa. Il mondo è diventato una grande nazione. Anche se dobbiamo mantenere le nostre tradizioni, bisogna avere il cuore e la mente aperti. Solo così la nostra identità sarà più forte. E unica.

 

Ma se il mondo si mescola, non finiremo per avere un’unica cultura?

Quando arrivi a Roma, è bello capire che sei a Roma; arrivare a Milano vuol dire respirare l’atmosfera di Milano. Non credo che il mondo debba finire per diventare tutto uguale, come i McDonald’s perfettamente identici in ogni angolo del pianeta. La bellezza della cultura è tale da poter mantenere la tradizione senza chiudersi agli altri. Chi costruisce muri, è preda della paranoia.

 

Nel 2010 lei ha suonato al galà del Nobel. Cosa pensa del premio dato a Bob Dylan? Si merita il Nobel per la letteratura?

Con le sue canzoni ha toccato l’anima delle persone di tutto il mondo. Ha creato la colonna sonora di milioni di vite. Credo che l’abbiano premiato per questo.

 

La sua musica è politica?

Lo è nel senso che è contro il razzismo. E quando porto nelle radio israeliane artisti di Ramallah, Palestina, insieme a soul singer come Alicia Keys, faccio un’affermazione politica: anche se viviamo in una zona del mondo che è in conflitto, possiamo mantenere l’umanità. E conoscere la musica dei nostri vicini che qualcuno chiama «i nostri nemici». È importante che gli israeliani conoscano la poesia del Libano, il cinema dell’Iran, la musica della Palestina e viceversa. Un esempio è proprio la mia «Ma'agalim (Circles)» che Mina e Celentano hanno trasformato in un successo in Italia. La mia musica viaggia. Ed è stato per me un onore dare la mia musica a due leggende della canzone. Non è un sogno diventato realtà, perché una cosa così non l’ho mai neanche sognata».

Giulio Brusati

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