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L’Aida di Muti dà inizio alla magia

Spettacolo unico Una partenza indimenticabile per la stagione areniana con un’edizione speciale di Aida in versione concerto, diretta dal maestro Riccardo Muti
Spettacolo unico Una partenza indimenticabile per la stagione areniana con un’edizione speciale di Aida in versione concerto, diretta dal maestro Riccardo Muti
Spettacolo unico Una partenza indimenticabile per la stagione areniana con un’edizione speciale di Aida in versione concerto, diretta dal maestro Riccardo Muti
Spettacolo unico Una partenza indimenticabile per la stagione areniana con un’edizione speciale di Aida in versione concerto, diretta dal maestro Riccardo Muti

Pur essendo uno dei più grandi direttori al mondo, sinora Riccardo Muti aveva guidato l’orchestra areniana una sola volta: il 7 agosto 1980, in occasione di una «Messa da Requiem» dedicata alle vittime della fame e della violenza nel mondo. Quarantuno anni dopo, il Maestro torna in Arena per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’opera regina dell’anfiteatro veronese: «Aida» di Giuseppe Verdi, proposta in una speciale esecuzione in forma di concerto, che inaugurerà ufficialmente il 98esimo Festival Lirico stasera alle 20.45 e che verrà replicata martedì 22 giugno con lo stesso orario. Commissionata dal Isma’il Pascià (Khedivè d’Egitto), basata su un soggetto dell’archeologo Auguste Mariette (fondatore e primo direttore del Museo Egizio del Cairo) ed eseguita per la prima volta il 24 dicembre 1871 al Cairo, «Aida» in Arena è sempre stata sinonimo di sfarzo e spettacolarità. Durante le due date dirette dal Maestro Muti, invece, nessuna regia distrarrà dalla protagonista assoluta di entrambe le serate: la musica verdiana. Il cast assemblato per l’evento riserva conferme, ma anche delle sorprese, a partire dal debutto come Aida del soprano mantovano Eleonora Buratto, ascoltata in Arena nel 2018 nei panni di Micaëla («Carmen») e Liù («Turandot») e nel 2020 all’interno della serata inaugurale «Il Cuore italiano della Musica» e dei Gala dedicati a Verdi e Puccini. Prima volta nell’anfiteatro veronese, invece, per il tenore Azer Zada (nato in Azerbaijan e noto al pubblico della Fenice per le sue prove ne «La Bohéme», «Madama Butterfly» e «Tosca»), chiamato a dare la propria voce al condottiero Radamès. Data l’importanza dell’occasione incarnare Amneris non poteva che esserci colei che Muti stesso ha definito «il miglior mezzosoprano verdiano al mondo»: la georgiana Anita Rachvelishvili, salita alla ribalta grazie al suo debutto come Carmen alla Scala (il 7 dicembre 2009, ad appena venticinque anni) e indimenticabile interprete della figlia del Faraone (e della gitana di Bizet) in tante estati areniane. Altro beniamino del pubblico veronese è indiscutibilmente il baritono Ambrogio Maestri, voce di Amonasro (padre di Aida) dal 2001 al 2018, oltre che di Nabucco (dal 2003 al 2015), di Fra Melitone («La Forza del destino», 2000) del Conte di Luna («Il Trovatore», 2001 e 2002), Giorgio Germont («La Traviata», 2004 e 2007) e Scarpia («Tosca», 2015, 2017 e 2019), senza contare la partecipazione al Gala 2020 «Le Stelle dell’Opera». Al Festival areniano 2020 hanno partecipato anche i due bassi scritturati per le parti di Ramfis e del re, ossia Riccardo Zanellato (già Ferrando ne «Il Trovatore» nel 2004, Ramfis in «Aida» nel 2008 e Zaccaria in «Nabucco» nel 2018) e Michele Pertusi, il quale incredibilmente (data la sua fama) non aveva mai cantato in Arena prima dell’anno scorso. Completano il cast i giovani Riccardo Rados (Messaggero) e Benedetta Torre (Sacerdotessa). Nel suo libro «Verdi, l’italiano. Ovvero, in musica, le nostre radici» (Rizzoli), Muti ha scritto che «Aida» è un’opera popolare «ma non la consideriamo tale, forse per la sapienza orchestrale superba che Verdi mostra nella sua composizione», dato che nella sua raffinatezza strumentale vi è «una perfetta fusione di tradizione e rinnovamento, cosa facilitata dalla novità del soggetto, dalla solennità dell’atmosfera e dei protagonisti». Proprio per questo il Maestro si è sempre scagliato contro quella «cattiva tradizione» che piace tanto alle platee, ma che rischia di trasformare l’opera verdiana in un musical. Un esempio? La romanza «Celeste Aida» definita «pensiero, sogno, raccoglimento di un innamorato, non espressione di un guerriero vociante». Il pubblico ne pretende il finale sparato a pieni polmoni, invece, come ha spesso spiegato Muti, «quell’acuto è scritto pianissimo, morendo, sui violini divisi che trillano in trasparenza, mentre il flauto arpeggia ai limiti dell’udibile». L’accuratezza filologica è un ulteriore motivo per cui l’Aida di Muti si preannuncia davvero imperdibile. •.

Angela Bosetto

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