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Al Festival della Bellezza

Il Peter Pan del rock torna in Arena
«Mi sentirò nel cuore della musica»

Edoardo Bennato sarà in Arena il 12 settembre
Edoardo Bennato sarà in Arena il 12 settembre
Edoardo Bennato sarà in Arena il 12 settembre
Edoardo Bennato sarà in Arena il 12 settembre

Dalle «canzonette» di uno storico album anni ’70 alla lirica, dai nuovi brani con il fratello Eugenio, passando per titoli che hanno contribuito a creare il rock in italiano, tra ironia e blues. Edoardo Bennato, architetto del rock tricolore, sarà tra i protagonisti del Festival della Bellezza con un concerto speciale in Arena, la sera del 12 settembre 2020. Sarà un evento pensato per il progetto Arena Agorà: palco al centro, platea di sabbia e tutti seduti intorno, sulle gradinate. Ma la serata sarà speciale anche perché il cantautore napoletano farà un omaggio all’opera lirica, accompagnato dalla soprano Maria Chiara Ghizzoni e dal Quartetto d'archi Flegreo.

Bennato, il ritorno in Arena le riporta alla mente tanti ricordi, vero? Lo spettacolo del 1980, la vittoria al Festivalbar con «Abbi dubbi»… «Sì. Inutile dire che, quando hai l’opportunità di suonare all'Arena di Verona, l’emozione è enorme. Innanzitutto già solo stare a Verona e girare per la città è meraviglioso, un’emozione unica. Se poi riesci a salire su quel palco al centro dell’anfiteatro, è come essere nel cuore della musica! Ho partecipato varie volte al Festivalbar e la serata finale in Arena, quella in cui vinsi la rassegna nel 1989, nella sezione album, fu un’esperienza esaltante».

All'Arena il suo concerto di settembre è stato chiamato "La bellezza del rock". Ma il rock possiede ancora bellezza? «Il Rock, con la maiuscola, almeno come lo concepisco io, è il tentativo di scardinare, laddove è possibile, le false morali, i luoghi comuni... Insomma, il tentativo di andare in direzione ostinata e contraria... Ed è solo Rock'n'roll ma mi piace!».

E il padre del rock, il blues? Riascoltando ora Howlin' Wolf e Muddy Waters ci si rende conto di quanto siano ancora attuali. O no? «Oh, sì. Tutto deriva dal blues; tutta la musica contemporanea, jazz compreso. Il blues è il mio pane quotidiano».

Il Festival della Bellezza ha definito lei "il Peter Pan del rock". Si sente un po' così? «Sì. Credo che tutti noi dovremmo conservare il nostro lato "fanciullesco" dentro di noi e averne cura. Ci aiuta a vivere e, soprattutto, a volare».

In uno dei suoi più recenti video, lei propone una versione di "Bravi ragazzi", una canzone che sembra sia stata scritta la settimana scorsa, e invece è degli anni '70! Da dove deriva questa sua longevità? «”Bravi ragazzi” viene dall'album "I buoni e i cattivi": chi sono oggi i buoni e i cattivi? Quali armi hanno i buoni per sconfiggere i cattivi? I ruoli dei buoni e dei cattivi sono intercambiabili. I buoni di oggi potrebbero essere i cattivi di domani e viceversa: arrivano i buoni ed hanno le idee chiare su tutti i cattivi da eliminare... Ma chi l'avrebbe mai detto che erano così tanti i cattivi da eliminare... Così adesso i buoni faranno una guerra contro i cattivi, ma hanno assicurato che è l'ultima guerra che si farà!».

Con suo fratello Eugenio lei di recente ha cantato "La realtà è tutta da rifare/ è la vita che non si può fermare e che canta la sua ribellione alla rete che diventa una prigione": la ribellione a questa realtà passa anche dalle chitarre e dalle voci dei cantautori? «La realtà non può essere questa, fatta di chitarre che suonano da sole. La musica, come la vita, non si può fermare; e la rete, il web, anche se indubbiamente ci ha aiutato ad essere forse meno soli nel periodo di lockdown, non può essere l'unica realtà a cui aggrapparsi. Altrimenti diventa una prigione»

Ma a un ragazzo di 14 anni che volesse iniziare a fare il cantautore, lei cosa suggerirebbe? Di partire chitarra in spalla, per l’Inghilterra, come ha fatto lei all’inizio degli anni ‘70? Di lasciar perdere? «Di andare in giro a suonare il più possibile. Avere contatto con il pubblico è essenziale. Non importa se ci sono dieci, cento, mille o diecimila persone, l'importante è affinare le proprie capacità e scambiare buone vibrazioni tra chi suona e chi ascolta».

Se lei avesse 15 anni oggi, farebbe rap? «Credo che chi fa rap abbia ereditato, spesso nei testi, il linguaggio dei cosiddetti cantautori impegnati. Sì, in molti di loro, intendo nei testi, riconosco la mia stessa insofferenza, sebbene con un linguaggio musicale diverso».

Potendo scegliere fra musicisti di vari generi del '900, con chi vorrebbe fare una jam? E con chi andrebbe a cena? E con chi in tour? «Ci vorrebbe un autoarticolato con pure un rimorchio al seguito, per contenere tutti quelli con cui mi piacerebbe e mi sarebbe piaciuto suonare. Ci sono riuscito con due dei miei maestri: B.B. King e Bo Diddley».

Stiamo leggendo il suo recente libro "Girogirotondo - Codex Latitudinis", ma perché nell'introduzione lei si definisce un "cantautorucolo"? «Per un eccesso di (falsa) modestia. Codex latitudinis è, diciamolo pure, un termine alla dottor Azzeccagarbugli. È il seguito del concetto espresso nella mia canzonetta "Cantautore". Per ironizzare sul mondo che mi circonda, devo necessariamente iniziare da me stesso». •

Giulio Brusati

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