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Ferrarin e Morelato sul palco per un Beethoven da applausi

Francesco Ferrarin e Angelo Morelato in concerto per la stagione dedicata a Zardini
Francesco Ferrarin e Angelo Morelato in concerto per la stagione dedicata a Zardini
Francesco Ferrarin e Angelo Morelato in concerto per la stagione dedicata a Zardini
Francesco Ferrarin e Angelo Morelato in concerto per la stagione dedicata a Zardini

La stagione musicale dedicata come ogni anno a fra Terenzio Zardini, ancora più importante in questo 2020 perché ricorrono i venti anni dalla scomparsa, ha preso inizio in uno dei chiostri della chiesa di San Bernardino con un concerto di musica da camera dedicato a Ludwig van Beethoven. Protagonisti della serata il violoncellista Francesco Ferrarin, ben conosciuto dal pubblico perché ha organizzato per molti anni in questa stessa sede, nella magnifica sala Morone, i Concerti del Lunedì; al pianoforte il giovane Angelo Morelato che affianca all’attività solistica quella cameristica per il cui repertorio viene ritenuto un interprete molto versatile e talentuoso. Il programma della serata, non molto lungo, ma particolarmente denso, comprendeva la quarta Sonata Op. 102 n. 1 in Do maggiore e la terza Sonata Op. 69 in La maggiore del musicista tedesco. La prima delle due si colloca nell’ultimo periodo beethoveniano e, in verità, sarebbe stato meglio ascoltarla dopo l’Op. 69 per cogliere pienamente il profondo modificarsi dello stile e del linguaggio, appartenendo l’altra, invece, nel pieno periodo di mezzo per impianto formale e stile. Sostanzialmente articolata in due movimenti, a loro volta formati da un inizio lento collegato con un tempo veloce, la Sonata in Do maggiore contiene nella parte pianistica alcuni stilemi dell’ultimo gruppo delle Sonate per pianoforte (quelle dall’Op. 101 all’Op. 111), cioè un utilizzo concettuale della polifonia, l’uso dei trilli prolungati che fanno da sostegno a linee melodiche eseguite contemporaneamente con la stessa mano, espediente che aveva donato una eterea brillantezza già alla Sonata Waldstein e porterà l’Op. 109 nell’empireo delle sonate pianistiche con soluzioni che si dimostrarono distanti e troppo avanti rispetto alla sensibilità del pubblico coevo. Il dialogo con il violoncello è poi di una raffinatezza squisita e passa il cantabile da ciascuna tessitura dello strumento ad arco, indifferentemente a una delle due mani del pianista con una conoscenza assoluta della timbrica. I due interpreti si sono integrati molto bene soprattutto nell’aspetto coloristico: la cavata pastosa ed energica di Ferrarini era sostenuta da Morelato, pianista sensibile e tecnicamente in ordine; leggendo il suo curriculum appare tra gli altri il nome di Marino Nicolini e la sua eredità si sente nell’approccio brillante e preciso del giovane interprete. Successo caloroso coronato da due encore di Cajkovskij e Saint Saens. •

Chiara Zocca

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