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AMBROGIO MAESTRI

«Ero al ristorante. Mi richiamarono al teatro»

Ambrogio Maestri (a destra) con i colleghi Hui He e Marco Berti. Hui He questa sera sarà Aida
Ambrogio Maestri (a destra) con i colleghi Hui He e Marco Berti. Hui He questa sera sarà Aida
Ambrogio Maestri (a destra) con i colleghi Hui He e Marco Berti. Hui He questa sera sarà Aida
Ambrogio Maestri (a destra) con i colleghi Hui He e Marco Berti. Hui He questa sera sarà Aida

Ambrogio Maestri, il gigante buono della lirica italiana, è nuovamente alle prese con la parte di Amonasro, il padre di Aida. Dal 2000, il celebre baritono pavese è sempre stato presente a tutte le produzioni dell'opera verdiana in Arena, da quella di Pier Luigi, a quelle di Zeffirelli, Solari, De Bosio e ora della Fura dels Baus. In questi giorni festeggia la sua 160a volta nelle vesti del re etiope: canterà questa sera (è la quarta rappresentazione di Aida, inizio alle 21) e il 15 e il 27 luglio. «Non si può stare lontani dall'Arena neppure per una stagione», scherza. «Finché ti vogliono bisogna approfittarne, per cantare in un luogo importante com'è il festival veronese. Anche per un ruolo che non è il massimo per un baritono».
Accanto a Maestri, questa sera, Hui He nel ruolo di Aida, Walter Fraccaro in Radamès, Sanja Anastasia in Amneris, Raymond Aceto in Ramfis e Sergej Artamonov nel Re. Completano il cast Antonello Ceron nei panni del Messaggero e Maria Letizia Grosselli in quelli della Sacerdotessa

Maestri, l'Arena è una piazza che l'ha lanciata con la Forza del destino del 1999.
Già, quel fra Melitone fu un ruolo spassosissimo, che in seguito mi portò molta fortuna. Devo dire che i ruoli buffi e brillanti sono il mio pane, pure se impegnano molto sotto il profilo fisico.

Lei ha festeggiato da poco anche il suo duecentesimo Falstaff al Metropolitan: una parte a cui tiene in modo particolare e con un successo che l'ha portato in prima pagina sul New York Times.
Nella recita trasmessa in diretta nei cinema, all'intervallo ho preparato per gli spettatori un risotto insieme al soprano René Fleming, nella cucina in cui si era appena svolta una scena dell'opera (c'è anche un filmato su You tube, ndr), tanto per restare in carattere, visto che sono figlio di un cuoco.

Dopo quell'evento ha ancora portato il «suo» Falstaff in Brasile a San Paolo - venti minuti di applausi e bis della fuga finale - e ad Amsterdam con l'Orchestra del Concertgebouw diretta da Daniele Gatti. Un'eccezionale presenza di maestri, quella in Olanda. Durante la prima prova con il Concertgebouw, quando fece il primo acuto su Questo è il mio regno, lo ingrandirò, l'orchestra smise di suonare perché non aveva mai sentito un suono di tale potenza...
Ultimamente sto interpretando spesso il ruolo di Scarpia. E Tosca tornerà in Arena l'anno prossimo. Come mi piacerebbe riprendere la parte di Nabucco, visto che nella stagione 2015 l'Arena ne proporrà un nuovo allestimento. A settembre sarò in Argentina:  porterò per la prima volta Falstaff al Teatro Colon di Buenos Aires, uno dei più famosi teatri internazionali.

Ma proprio con Amonasro - cantato anche al Maggio Musicale Fiorentino con la regia di Ferzan Ozpetek che poi l'ha voluto nel suo film Magnifica presenza - sono nate alcune proverbiali gaffe di maestri.
A Barcellona ho avuto un malinteso col regista: voleva che compissi un'uscita all'americana, vale a dire inchino e applausi alla fine del terzo atto. Ma poi cambiò idea preferendo farmi uscire con gli altri alla fine dell'opera. Io fraintesi le sue parole pensando che si fosse dimenticato della mia uscita. Mi sono cambiato, struccato e sono andato a mangiare in un ristorante, che fortunatamente si trovava vicino al teatro.

E come andò a finire quella sera?
Al momento delle uscite, i maestri di palcoscenico riuscirono a rintracciarmi e in tutta fretta mi inserirono nel gruppo per gli applausi. Però mi presentai al pubblico senza il trucco nero da etiope, con la tunica al rovescio e la parrucca storta.

La storia della parrucca non è nuova per lei.
Un episodio del genere accadde anche nella prima recita dell'Aida di Franco Zeffirelli in Arena. Avevo ribadito più volte al regista che la barba e la parrucca mi davano fastidio nel canto perché perdevano i peli. Siccome Zeffirelli era irremovibile, nella scena del trionfo e dopo Suo padre, mi sono tolto sia la barba che la parrucca, continuando a cantare come se nulla fosse, tra gli "oooh!" del pubblico
areniano...

Gianni Villani

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