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Elio, arriva «Ci vuole orecchio» Viaggio nel mondo di Jannacci

Lo show   Elio arriva al Salieri con il suo ultimo spettacolo «Ci vuole orecchio» dedicato a Jannacci
Lo show Elio arriva al Salieri con il suo ultimo spettacolo «Ci vuole orecchio» dedicato a Jannacci
Lo show   Elio arriva al Salieri con il suo ultimo spettacolo «Ci vuole orecchio» dedicato a Jannacci
Lo show Elio arriva al Salieri con il suo ultimo spettacolo «Ci vuole orecchio» dedicato a Jannacci

E’ un viaggio nel mondo musicale di Enzo Jannacci quello che si potrà fare attraverso “Ci vuole orecchio”, il nuovo spettacolo di Stefano Belisari, da tutti conosciuto come Elio, che stasera, alle 20.45, arriverà sul palcoscenico del teatro Salieri di Legnago per la stagione “RallegrArti”. Il “Buster Keaton della canzone” di Lambrate, scomparso dieci anni fa il 29 marzo 2013, verrà reinterpretato e ricantato dal leader delle Storie Tese, che restituirà al pubblico i tanti aspetti che hanno caratterizzato “il poetastro”, come Jannacci stesso amava definirsi: allegria e tristezza, tragedia e farsa, gioia e malinconia. Sotto la regia di Giorgio Gallione, accanto ad Elio ci saranno anche cinque musicisti: Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono e Giulio Tullio al trombone. Gli arrangiamenti musicali sono di Paolo Silvestri, mentre le scenografie portano la firma di Lorenza Gioberti. Elio, come mai ha scelto proprio Jannacci? E che significato ha per lei portarlo in scena? Mio padre era suo compagno di classe al liceo per cui io fin da bambino ho avuto in casa un po’ di Jannacci: dischi, racconti, ricordi. In un certo senso era come se fosse una persona di famiglia anche se poi nella mia vita l’ho incontrato poche volte. Questo spettacolo su di lui era da tempo nella lista di cose che voglio fare prima che sia troppo tardi. E l’occasione giusta è arrivata. Giorgio Gallione, con il quale avevo cantato e recitato Giorgio Gaber, ha accettato la sfida e dopo diverse mie insistenze siamo riusciti a mettere insieme lo spettacolo, nato più come un semplice desiderio che un progetto con ambizioni di successo. Invece il successo è arrivato. Abbiamo già superato le 100 repliche, con teatri quasi sempre pieni. L’obiettivo però non è solo riportare in scena Jannacci, ma “vendicarlo” perché la mia impressione è che sia stato considerato poco più di un personaggio bizzarro, non all’altezza di Gaber, Dalla, De André. Io invece penso che sia lì, in mezzo a loro. C’è un lato o uno stile di Jannacci sul quale ha puntato in particolare in questo spettacolo? Il tentativo era proprio quello di approfondirli tutti. Ciò che ho sempre ammirato di più in lui è la capacità di essere unico, inimitabile, originale. E’ stato un pioniere, un esploratore di percorsi alternativi e sconosciuti, pur rischiando di venire considerato un po’ matto. Del resto, un artista se vuole essere tale deve necessariamente cercare un proprio stile e percorrere strade nuove, non tanto per se stesso, quanto per rispetto del pubblico. Jannacci era l’esatto opposto del conformismo che purtroppo ormai vedo in abbondanza. Ci vuole orecchio, che lei ed il regista avete adottato come titolo, è una celebre canzone del “poetastro”. Come mai proprio questa? L’abbiamo preferita perché è un’espressione simbolica: significa essenzialmente che occorre sensibilità. Bisogna saper ascoltare tutti. Si parla tanto di inclusione, magari anche abusando del termine, ma poi non la si applica. Mettersi in ascolto vuol dire arrivare ad essere sullo stesso piano del proprio interlocutore. E questo è proprio lo spirito di Jannacci. Al centro dello spettacolo, che è un po’ un teatro-canzone, appare la Milano degli anni ’60 e ’70, rivista anche attraverso testi suoi, di Fo, Eco, Francesco Piccolo, Marco Presta e Serra. Cosa è rimasto di quel mondo? Credo che Milano abbia mantenuto la propria anima, anche se nell’aspetto - in certe zone, non in tutte - appare diversa da come era 50 anni fa. Forse è immutabile perché si pone da sempre come un grandissimo centro d’attrazione per milioni di persone. Jannacci canta Milano, ma non bisogna farsi trarre in inganno perché in realtà è una città che non rappresenta solo i suoi abitanti. Milano è un pretesto per raccontare la vita di tutti. Per questo, forse, lo spettacolo sta avendo grande riscontro ovunque in Italia. Con le Storie Tese come va? Tornerete insieme sul palcoscenico? Siamo amici da molti anni e ci frequentiamo tuttora fuori dai teatri. Se troveremo altri stimoli, sono convinto che faremo ancora qualcosa insieme.•.

Elisabetta Papa

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