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L'intervista

Elio al Teatro Romano canta Jannacci: «Ma non chiamatemi più genio»

Elio stasera canterà Jannacci
Elio stasera canterà Jannacci
Elio stasera canterà Jannacci
Elio stasera canterà Jannacci

«Genio». Ecco, se non volete farlo arrabbiare non dite - anche se la tentazione è forte - quella parola alla presenza di Elio. Si arrabbierebbe. Stasera, e questo lo si può dire perchè sono parole dello stesso Elio, l’eclettico cantante porterà al Teatro Romano lo spettacolo (è un po’ teatro, un po’ musica, un po’ racconto, un po’ tutto quanto sapientemente mescolato) «Ci vuole orecchio», un tributo al genio di Enzo Jannacci. Con lui sul palco ci sarà anche una band d’eccezione.

Elio, com’è nata l’idea di cantare e recitare Jannacci?

Jannacci mi piace praticamente da quando sono nato. Era una delle mille cose che avevo in mente di fare, ecco. L’occasione mi è stata data dalla collaborazione con Giorgio Gallione, con lui avevo fatto uno spettacolo per Gaber, «Il Grigio». Stavolta abbiamo selezionato una serie di brani, ma non i più celebri, i più rappresentativi. Fra una canzone e l’altra abbiamo anche scelto dei testi che leggerò e reciterò. Il tutto avviene con una band al seguito. Ne esce un cocktail frizzante, ma a tratti anche più malinconico.

Che rapporto aveva con Jannacci?

Era nella stessa classe di mio papà, ma personalmente non l’ho frequentato. Fisicamente l’avrò incrociato credo solamente tre volte in tutta la mia vita. E in una, per altro, ero addormentato.

Ci spieghi...

Ero piccolo, ero all’ospedale e lui lavorava lì. Mi hanno detto che era passato a vedermi, ma io dormivo. E le altre invece? Ci siamo incrociati, abbiamo fatto quattro chiacchiere ma non siamo mai stati amici, ecco. Negli ultimi anni, invece, mi sono avvicinato a suo figlio, Paolo, che è molto contento di questa avventura. Siamo entrati tanto in contatto e mi ha raccontato un sacco di cose su suo padre che ignoravo.

«Ci vuole orecchio», perchè proprio questo titolo?

Abbiamo scelto come titolo una canzone che conoscono praticamente tutti. Ma devo dire che è anche una bellissima immagine perché ci vuole sensibilità, ci vuole orecchio... in quel senso lì. Bisogna ascoltare gli altri e se stessi. Abbiamo messo insieme un po’ di cose.

Oggi si abusa della parola «genio». Cos’è per lei la genialità? Chi è un genio?

Sono d’accordo. Soprattutto in questo periodo ci sono troppi geni. Anche a me spesso dicono «genio», ma io non voglio, non ci credo. Einstein era un genio. Anche Jannacci lo è stato a modo suo. Più che un genio, forse, è stato preso sottogamba. In Italia noto che se qualcuno fa ridere non viene mai preso sul serio e lui in particolare meriterebbe di stare nell’olimpo dei nostri cantautori come Dalla, De Andrè, Gaber.

Che rapporto ha con Verona?

Ottimo. Con Elio e Le Storie Tese siamo sempre stati accolti trionfalmente, anche agli inizi. Verona ha orecchio per Elio, credo lo avrà anche per Jannacci.

Nicolò Vincenzi

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