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Direzione sublime e piano d’oro Splende l’Orchestra della Scala

L’Orchestra della Scala al Filarmonico con il pianista Romanovsky FOTO  BRENZONI
L’Orchestra della Scala al Filarmonico con il pianista Romanovsky FOTO BRENZONI
L’Orchestra della Scala al Filarmonico con il pianista Romanovsky FOTO  BRENZONI
L’Orchestra della Scala al Filarmonico con il pianista Romanovsky FOTO BRENZONI

In quest’epoca gaudente, che sollecita qualsiasi soddisfazione materiale, è più difficile incontrare momenti di godimento interiore. Chi è alla ricerca di emozioni perdute può invece confermare d’averle provate al concerto dell’Orchestra del Teatro alla Scala per il Settembre dell’Accademia, uscendo con ancora nel cuore il miele dei violini, sentendo affiorare sulle labbra il canto spiegato del tema della Sesta di ČCajkovski. Sul podi uno dei direttori più incisi, stimati e contesi di oggi il coreano Myung-Whun Chung. Con lui il pianista ucraino, 35enne Alexander Romanovsky, star internazionale da quando a 17 anni vinse il premio Busoni. In programma il Concerto per pianoforte di Rachmaninov n. 3 in re minore. Come nei motivi floreali del Liberty, in questo brano del 1909 prevale l’ornamento. Il pianoforte esibisce la più virtuosistica e spettacolare delle scritture trascendentali: doppie terze, salti acrobatici, arpeggi, le cascate di perle delle scale, le tremende ottave ribattute. Dotato d’una tecnica formidabile che gli consente il controllo totale di questa, quasi inaffrontabile, partitura, la sua interpretazione si è apprezzata ancor più per la profondità, con un fraseggio, una gradazione dinamica e agogica che ha dotato di senso ogni passaggio, tanto da non far risultare accessoria nessuna nota. Con un uso meraviglioso del pedale e del tocco Romanovsky ha realizzato un suono rotondo e profondo (con il peso rilassato del corpo, non con la forza di braccio), regalandoci alcuni dei “pianissimo” più suggestivi mai ascoltati, fino all’estremo opposto di raggiungere la potenza di un’orchestra. Fino a tentare l’impossibile di sollecitare un tasto già abbassato, ottenendo dal pianoforte un vibrato, come fosse un clavicordo. Alle ovazioni del pubblico ha elargito due bis, lo Studio op. 10 n. 12 di Chopin (vulgo La rivoluzione) e magnifiche swinganti improvvisazioni jazz su The man I love. Nella seconda parte della serata, la sinfonia n.6 in si minore di ČCajkovski. La più amata delle composizioni d’uno fra i più affascinanti compositori della storia: «L'amo, come fino ad ora non ho mai amato nessun'altra delle mie creature», ČCajkovski ebbe a dichiarare, divenuta, con l’interpretazione di Chung, avventurosa e avvincente come un romanzo. Chung ha organizzato l’avvicendarsi di stati emotivi contrastanti, dalle atmosfere timbriche più seducenti, per costruire la tensione. Cajkovski distribuisce qui i movimenti in modo inconsueto, con un parossistico crescendo che inizia fin dall’attacco fulminante del secondo, per arrivare all’Höhepunkt alla fine del terzo, rendendo impossibile sfogare la tensione accumulata con l’applauso, prima della fine del brano che termina nel movimento successivo. Il direttore ha scatenato un’eruzione tellurica, esaltante, cui ha risposto lo scoppio emotivo del pubblico, partecipe e incapace di frenarsi. L’atteggiamento di innescare un’aspettativa e poi frustrarla era già stato anticipato dal primo movimento, che si spegne con la linea discendente della melodia del clarinetto e continua nell’ultimo, che termina in silenzio. Chung lo ha realizzato come una dissolvenza senza lacrime, reso ancor più tragico per la mancanza della liberazione emotiva della disperazione, regalandoci in qualche secondo di silenzio prima degli applausi, la sensazione di aver condiviso un’avventura dello spirito. Il pubblico, seppure entusiasta da delirio, ha compreso che non aveva senso chiedere il bis, quando tutto era stato detto. •

Elena Biggi Parodi

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