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L'EXPLOIT

«To Leslie», il film a sorpresa sul tappeto rosso degli Oscar

La protagonista Andrea Riseborough tra le candidate al premio per la miglior attrice Applausi e polemiche, ma il debutto di Michael Morris merita una vera distribuzione
Andrea Riseborough, meravigliosa protagonista di «To Leslie», primo lungometraggio di Michael Morris
Andrea Riseborough, meravigliosa protagonista di «To Leslie», primo lungometraggio di Michael Morris
Andrea Riseborough, meravigliosa protagonista di «To Leslie», primo lungometraggio di Michael Morris
Andrea Riseborough, meravigliosa protagonista di «To Leslie», primo lungometraggio di Michael Morris


Dalle stalle del profondo Texas alle stelle del red carpet di Los Angeles. È già diventato un caso cinematografico il primo film del regista inglese Michael Morris, «To Leslie», produzione a bassissimo budget strappata all’oblio dei circuiti indipendenti da un’improvvisa e inattesa botta di popolarità. Sotto i riflettori dell’ormai imminente notte degli Oscar (le statuette saranno assegnate il 12 marzo) ci è finita in particolare Andrea Riseborough, inserita a sorpresa nella cinquina delle candidate come miglior attrice protagonista dopo una serie di benedizioni arrivate, soprattutto via social, da colleghe e colleghi ben più celebri.

L’elenco delle star che si sono spese per la nomination della Riseborough, la cui carriera vanta comunque ruoli tutt’altro che di contorno sui set di autori di primissima fascia come Mike Leigh («Happy-Go-Lucky») e Alejandro Iñárritu («Birdman»), è davvero impressionante: da Kate Winslet a Jane Fonda, da Charlize Theron a Gwyneth Paltrow, da Laura Dern a Demi Moore e Naomi Watts, da Patricia Arquette a Edward Norton, da Susan Sarandon a Kim Basinger, da Helen Hunt a Marisa Tomei, Melaine Griffith, Ed Harris e Jamie Lee Curtis. Tutti insieme appassionatamente per convincere i giurati dell’Academy a riservare una poltrona del Dolby Theatre per la protagonista di un film girato in 19 giorni con meno di un milione di dollari in tasca («The Fabelmans» di Spielberg ne è costato una quarantina, tanto per dire), senza distributore, le spalle totalmente scoperte, zero promozione e incassi irrisori dopo il primo e unico giro nelle poche sale americane accessibili alle produzioni davvero indipendenti.

Insomma, l’esatto opposto del target da Oscar: un lungometraggio fuori dai radar di Hollywood, passato totalmente inosservato e miracolosamente ripescato a ridosso delle candidature. Una favola da fabbrica dei sogni con tanto di lieto fine: martedì scorso il nome della Riseborough è infatti spuntato dalla busta delle nomination ufficiali, in una short list mai così preziosa e della quale fanno parte Michelle Williams («The Fabelmans»), Michelle Yeoh («Everything Everywhere All at Once», la prima attrice di origine asiatica in corsa per la statuetta), Ana de Armas («Blonde») e Cate Blanchett (magnetica protagonista di «Tár» che è stata tra le prime a prendere posizione in favore di «To Leslie»). Tutto è bene quel che finisce bene?

Non esattamente. A corollario del coup de théâtre è divampata l’immancabile polemica sulla presunta regia occulta orchestrata per favorire l’outsider di turno, con chi invoca persino una presa di posizione ufficiale dell’Academy per violazione delle regole di promozione (ci sarebbe un’indagine in corso) o addirittura il ritiro della nomination (è già successo ma solo nove volte nella storia degli Oscar). Roba da americani: non c’è notte delle stelle senza veleni. Staremo a vedere se da qui al 12 marzo la cinquina sarà ritoccata.

Ma nel frattempo cerchiamo di non perdere di vista il fatto essenziale: candidatura o non candidatura, «To Leslie» è un film meraviglioso e l’interpretazione di Andrea Riseborough merita tutti i riconoscimenti inventati e ancora da inventare (come ha scritto Gwyneth Paltrow su Instagram). La storia di caduta e rinascita di una madre alcolizzata, ambientata nel cuore rurale del Texas di provincia, è di quelle che non si dimenticano. Cinema verità che ricorda il meglio degli anni Settanta polverosi alla Scorsese («Alice non abita più qui») o alla Malick («La rabbia giovane»), raccogliendo il testimone da «Nomadland», Chloé Zhao e Frances McDormand. La speranza è che qualcuno, una volta spenti i riflettori, si prenda la briga di distribuirlo anche da questa parte dell’Atlantico. Una nomination in più o in meno conta poco, ma di grandi film non ce n’è mai abbastanza.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Luca Canini

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