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IN SALA

«Tár», una sinfonia da Oscar. Sul podio con Cate Blanchett

Miracolosa la prova dell'attrice australiana nei panni di una geniale direttrice d'orchestra. Confezione raffinata e sceneggiatura diabolica, ma qualcosa manca a livello di umanità
Cate Blanchett protagonista del film «Tàr» diretto da Todd Field: sarà in sala a partire da domani anche in Italia
Cate Blanchett protagonista del film «Tàr» diretto da Todd Field: sarà in sala a partire da domani anche in Italia
Cate Blanchett protagonista del film «Tàr» diretto da Todd Field: sarà in sala a partire da domani anche in Italia
Cate Blanchett protagonista del film «Tàr» diretto da Todd Field: sarà in sala a partire da domani anche in Italia

La seconda Coppa Volpi e il quarto Golden Globe sono già materia da Wikipedia. Il terzo Oscar, molto probabilmente, lo diventerà a breve. Tra poco più di un mese, nella notte tra il 12 e il 13 marzo, quando la divina Cate Blanchett, all’ottava nomination in carriera, sfilerà sul red carpet del Dolby Theatre con tutti i bookmaker aggrappati al suo strascico, favorita di molto rispetto alle altre candidate alla statuetta che finirà nelle mani della miglior attrice protagonista (in corsa Michelle Williams, Michelle Yeoh, Ana de Armas e Andrea Riseborough: da anni non si vedeva una cinquina così di qualità). Ma prima dei riflettori di Los Angeles, il passaggio sui grandi schermi italiani, con «Tár» del regista americano Todd Field in anteprima già stasera e poi ufficialmente in sala a partire da domani.

Meglio tardi che mai. Uscito negli States a inizio ottobre, l’ennesimo lungometraggio cucito addosso alla magnetica presenza e allo sconfinato talento della Blanchett è già uno dei titoli più chiacchierati della stagione, applauditissimo e incensato dalle platee di mezzo mondo. Lodi strameritate perché i pregi sono tanti, tanti, tanti; molti più dei limiti e dei difetti. Che comunque ci sono. Perché diciamolo subito: «Tár» non è il capolavoro annunciato. Un grande film, forse, una prova d’autore e d’attrice di finissima fattura, di quelle che non a caso fanno il canonico giro di festival e rassegne tra folle di critici osannanti.

Ma qualcosa manca alla pellicola di Field, sia in termini narrativi che - soprattutto - di spessore umano. Cosa? Ci arriveremo. Prima un po’ di coordinate necessarie, anche se probabilmente già saprete che il personaggio interpretato dalla fu regina degli elfi e fu avatar di Bob Dylan è una direttrice d’orchestra, la Lydia Tár che presta il cognome al titolo, donna di enorme successo (e di grande potere) che calca il podio più ambito da chi di mestiere impugna la bacchetta: quello dei Berliner.

Una vita a 24 carati quella di Lydia, prima donna al vertice dei Philharmoniker, docente, ricercatrice, felicemente sposata con la primo violino dell’orchestra che dirige, una figlia ereditata dal precedente matrimonio della compagna, decine di pubblicazioni alle spalle e all’orizzonte la prospettiva di completare il ciclo delle Sinfonie mahleriane con l’incisione della Quinta. Cosa chiedere di più e di meglio? Eppure non è tutto oro quello che luccica tra le pieghe dell’esistenza della pupilla di Bernstein.

Le ombre si insinuano; una crepa qui, una crepa là, qualcosa che non torna. E poco alla volta Lydia Tár si rivela per quello che è: un personaggio sgradevole. Una cinica che abusa del proprio potere adottando comportamenti tipici del maschio predatorio: un aiutino a una giovane violoncellista dalla quale è attratta sessualmente, la carriera di un ex allieva sfasciata di proposito, i sogni della fedele assistente mandati a monte senza pietà. Todd Field è diabolico nell’innescare cortocircuiti di prospettiva sulle questioni di genere e nel farci riflettere per inerzia sulla tesi di fondo: maschio o femmina che sia, il potere è malvagio per natura.

Un gioco perverso al quale la divina Cate presta il fianco con un’interpretazione semplicemente miracolosa, calamitando attenzione e sguardi per ciascun secondo dei 158 minuti di durata. «Tár» è Cate Blanchett. Sequenza dopo sequenza, fotografia, regia, plot: tutto al servizio di una prova davvero da Oscar.

Peccato che il regista, autore anche della sceneggiatura, si dimentichi di dare vita vera al suo feticcio; di offrire a chi osserva dalla terza dimensione dei motivi validi per odiarlo, compatirlo o disprezzarlo, per sentire quello che Lydia (e non Cate) sente, per essere coinvolti nel profondo. Il risultato è che ci si ritrova spettatori passivi di una sorta di tragedia in vitro, di dramma imploso perfettamente levigato, di lezione dagli effetti precisi e calcolatissimi. Deliziati, certo, ma non commossi.•. 

Luca Canini

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