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In sala

«Talk to Me», l’horror come si faceva una volta

La protagonista Sophie Wilde in una delle sequenze più inquietanti dell’horror «Talk to Me»
La protagonista Sophie Wilde in una delle sequenze più inquietanti dell’horror «Talk to Me»
La protagonista Sophie Wilde in una delle sequenze più inquietanti dell’horror «Talk to Me»
La protagonista Sophie Wilde in una delle sequenze più inquietanti dell’horror «Talk to Me»

C’era una volta l’horror. Vi ricordate? «La cosa», «La casa», «Venerdì 13», «Nightmare», «Halloween», «La bambola assassina», «Non aprite quella porta», «L’armata delle tenebre», «Gremlins», «Poltergeist»: chiunque sia cresciuto tra gli anni Ottanta e Novanta sa di cosa sto parlando. Ragazzi, quanto ce la siamo spassata a stare alzati fino a tardi con Sam Raimi, Joe Dante, Wes Craven, John Carpenter, Tobe Hooper e gli altri fratelli di sangue. Poi Hollywood si è messa in testa che i serial killer erano meglio, che in mancanza di idee brillanti era sufficiente copiare i giapponesi (di «Ring» ci bastava l’originale di Hideo Nakata), e l’arte dell’horror da due soldi, quello che non ti faceva dormire grazie alla paura e non grazie agli effetti speciali, si è un po’ persa. Solo di recente, in scia a una nuova generazione di maestri del brivido e della vera inquietudine - Jordan Peel («Get Out»), Ti West (recuperate «Pearl» se vi è sfuggito), Ari Aster (c’è gente che ha ancora gli incubi e ha visto «Midsommar» due anni fa) -, qualcosa si sta finalmente muovendo nella giusta direzione.

Dall’Australia con orrore
La conferma arriva dalla lontanissima Adelaide e dai gemelli RackaRacka, all’anagrafe Danny e Michael Philippou, che partendo da un canale Youtube e da un mestiere, quello del filmaker, imparato smanettando in rete, sono arrivati a dirigere il loro primo film. Titolo: «Talk to Me». Garantisce la benemerita A24, che ultimamente non sta sbagliando un colpo e che ha già fatto il botto dall’altra parte dell’Atlantico (siamo sopra i 70 milioni di dollari di incassi a fronte dei 4 spesi per girarlo). Da noi sarà in sala da domani (con il solito, notevole ritardo: ma siamo o non siamo l’ultima provincia dell’impero?) e promette di farsi notare. D’altronde «Talk to Me» funziona che è una meraviglia e merita di essere preso maledettamente sul serio.

Di cosa stiamo parlando?
In breve: un gruppo di teenager entra in possesso della mano mummificata di una medium bruciata sul rogo o giustiziata in qualche altra spaventosa maniera, una calamita satanica in grado di attirare le anime dei morti che vagano senza pace tra la bocca dell’inferno e il mondo dei vivi. Il rituale è semplice: si stringe la mano e si recita la formula «talk to me» («parla con me»). A quel punto lo spirito si materializza di fronte agli occhi del medium di turno, l’unico che può vederlo e che deve poi autorizzare la possessione dicendo «I let you in» («ti lascio entrare»). Tutto qui. Lo spirito è dentro e ora può comunicare e interagire con i presenti, dando sfogo alla propria rabbia, ai propri tormenti, o biascicando orrende profezie. Regole da rispettare? Una sola: il tutto non deve durare più di novanta secondi. Pena: il dannato potrebbe decidere di non andarsene più. Uno spasso per Mia e compagni di sballo, che iniziano a usare la mano come una sorta di sostanza stupefacente ad alto potenziale demoniaco. Ma le azioni hanno sempre delle conseguenze, soprattutto quando di mezzo c’è il maligno (o chi per esso). Il resto ve lo lascio immaginare, in attesa che vi decidiate a concedere una meritata occasione a una delle sorprese dell’anno. Che se da un lato reinventa con gusto e con grande padronanza un genere di tradizione consolidata come il teen horror (ragazzini più spiriti malvagi e si va sul sicuro fin dai tempi di Friedkin), dall’altro convince soprattutto per la semplicità e l’efficacia dei meccanismi narrativi. Pochi fronzoli, insomma, e tanta paura (oltre alle idee giuste). La storia funziona, i personaggi pure e il finale (da vero horror) fa il resto. Alla vecchia. Senza inventarsi chissà cosa e senza perdersi in mind game del cavolo o in cervellotiche teorie. Bravi, sette più. Nota necessaria: chi scrive garantisce soltanto per la versione in lingua originale. Gli eventuali danni da doppiaggio sono a carico dello spettatore.

Luca Canini

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