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La recensione

«Last Film Show», l’India magica di Pan Nalin

Bhavin Rabari alias Samay
Bhavin Rabari alias Samay
Bhavin Rabari alias Samay
Bhavin Rabari alias Samay

Come le migliori opere, «Last Film Show» di Pan Nalin, indiano, già autore di «Samsara», ha una doppia vita: una esteriore, molto facile, brillante, conforme alle mode; e una interiore, decisamente intrigante e tutta da scoprire. È ambientato nei pressi della stazione ferroviaria di una località rurale e il protagonista è un vispo ragazzino di nome Samay, il cui padre sfortunato e poverissimo vende tè ai passeggeri. Tutta la famiglia di Samay, padre, madre e sorelle, si reca in città per andare al cinema a vedere un film d’ispirazione religiosa. Samay è fulminato dalla magia del cinema, dalla sala, dalla luce, dal colore e decide che diventerà un regista. «Last film show» si configura dunque esteriormente come la storia dell’innamoramento di un ragazzino per il cinema. Un innamoramento pagato caro perché ogni volta che il padre scopre che Samay marina la scuola sono bastonate, in senso proprio. Ma Samay non desiste, e per vedere i film senza pagare diventa amico del proiezionista, al quale offre il buon cibo della mamma. Samay ascende così alla cabina di proiezione. Ed è subito «Nuovo cinema Paradiso», con un’orgia di citazioni, vecchi proiettori, ritagli di pellicole, fasci di luce. Insomma, Samay e i suoi amici capiscono il cinema e lo ricreano con mezzi di fortuna e furti di bobine. Il déjà vu si mescola alla nostalgia e tutto scorre, tutto passa come le pellicole portate al macero. Resta invece la rappresentazione del cinema un po’ alla Méliès, come una sorta di materiale arte del bricolage, ingegno e manualità; come il cibo semplice e divinamente buono preparato dalla madre di Samay, sminuzzando, cuocendo, friggendo e impastando colori e sapori. F.Bon.

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