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La recensione

«L’imprevedibile viaggio di Harold Fry»

Il protagonista Jim Broadbent
Il protagonista Jim Broadbent
Il protagonista Jim Broadbent
Il protagonista Jim Broadbent

Molteplici sono gli echi e i ricordi, cinematografici e non, suscitati da questo film «very old english» di Hettie MacDonald, tratto dall’omonimo «L’imprevedibile viaggio di Harold Fry» di Rachel Joyce che lo ha anche sceneggiato: si va da «Forrest Gump» a «Cammina cammina» di Ermanno Olmi, senza dimenticare L’Equipe 84 di «Io cammino per le strade e ho in mente te». Anche il pensionato Harold (stupefacente l’aderenza di Jim Broadbent al personaggio), una volta iniziato il suo cammino di 800 chilometri a piedi dal sud al nord dell’Inghilterra, ha in mente la sua amica Queenie, amica e collega nella fabbrica di birra in cui lavoravano. Si vede che Harold è un fervente fan del grande padre di tutte le vitali pazzie cinematografiche ed esistenziali, Werner Herzog, il quale nel 1974, saputo che la sua amica Lotte Eisner, geniale studiosa del cinema, era in fin di vita nella sua casa di Parigi, zaino in spalla, si mise in cammino da Monaco per attraversare in inverno la Germania e la Francia e salutarla. E dire che Harold, accompagnato dallo scetticismo della moglie Maureen, era uscito solo per imbucare una lettera di commiato a Queenie, in risposta alla missiva ricevuta dall’Hospice in cui la donna è ricoverata. Poi una commessa lo convince a fare una pazzia, camminare per Queenie per vedere l’effetto che fa. Ma chi cammina sa che questa attività non è mai impunita: sono sempre in agguato pensieri, fantasie e ricordi e sensi di colpa di tutta una vita. E il road movie, il racconto di un viaggio nello spazio, è sempre anche un viaggio nel tempo, si apre verso se stessi, sulle profondità dell’Io e verso la pietas per gli altri, non senza qualche sorprendente risvolto. 

F.Bon.

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