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La recensione

«E la festa continua», la lezione di Guédiguian

La protagonista Ariane Ascaride
La protagonista Ariane Ascaride
La protagonista Ariane Ascaride
La protagonista Ariane Ascaride

È una vita che il ruolo di ala sinistra del cinema è tenuto alternativamente con grande efficacia dall’inglese Ken Loach e dal marsigliese di origini armene Robert Guédiguian; è dai tempi dell’indimenticabile, perfetto «Marius e Jeannette» che Guédiguian ci incanta e ci commuove con la vita dei proletari marsigliesi, con i suoi microcosmi di quartiere, l’Estaque in particolare. E senza nulla togliere al rigore dialettico del cinema di Ken Loach, forse è ancora più facile parteggiare per Guédiguian e immergersi in quell’aura cinematografica e artistica nella quale il sentimento umano respira all’unisono con gli altri, quell’aria dove la passione vibra unica e indivisibile: passione di vita, passione d’amore e passione politica, in un corpo e in un’anima sola. Un’aria infine da non respirare a fondo se non si è convinti che sia sbagliato dire che i sentimenti non hanno colore politico, quando invece la tenerezza e l’amore, per esempio, sono anarchici. Ispirato al caso di Michèle Rubirola, «E la festa continua» è la storia di Rosa, di suo fratello Antonio e della loro famiglia. Si approssimano le elezioni comunali nel quartiere dove abitano Antonio, tassista, e Rosa, infermiera e militante per i diritti di tutti, anche degli immigrati. Rosa è prossima alla pensione: è rimasta vedova in giovane età e ha due figli. Ma i proletari, a Marsiglia come altrove, sono più propensi a dividersi che a unirsi. La povera Rosa allora si danna l’anima in continue riunioni per trovare un candidato comune. Rosa è indomita, non si rinchiude in se stessa: lotta, si apre all’amore e non cede alla disperazione. «Bisogna continuare ad affermare che niente è finito, tutto comincia»: una lezione di vita, una lezione politica. F.Bon.

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