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Battiston strega il Nuovo L’istrione dell’affabulare dà voce al nostro esilio

Il Grande Teatro   Giuseppe Battiston in «La valigia» al Nuovo fino a domenica FOTO BRENZONI
Il Grande Teatro Giuseppe Battiston in «La valigia» al Nuovo fino a domenica FOTO BRENZONI
Il Grande Teatro   Giuseppe Battiston in «La valigia» al Nuovo fino a domenica FOTO BRENZONI
Il Grande Teatro Giuseppe Battiston in «La valigia» al Nuovo fino a domenica FOTO BRENZONI

Battiston, straordinario istrione che racconta l’esilio dentro di noi: una valigia come metafora di ogni distacco, immagine di irrevocabile scelta tra il prendere e l’abbandonare, lontananza nello spazio e nel tempo che diventa, sul filo della memoria, trascinante, affabulante racconto di una vita, meglio, della vita. Davvero di una bravura da togliere il fiato. Giuseppe Battiston ha travolto l’altra sera il Nuovo con il suo nuovo spettacolo “La valigia” del giornalista scrittore russo Sergei Dovlatov scomparso nel 1990 non ancora cinquantenne (il monologo era andato in scena per due sole date al Teatro Era di Pontedera; il Grande Teatro dunque ha il merito di averlo avuto in calendario quasi al debutto). In scena fino a domenica (oggi alle 18 al Nuovo l’incontro con l’attore a ingresso libero), «La valigia» vede Battiston non solo come protagonista, ma anche curatore dell’adattamento a quattro mani con Paola Rota, che firma la regia. E proprio da ieri sera anche a Verona è nei cinema il film «Io vivo altrove!» che segna il debutto di Battiston alla regia: un inno all’amicizia e al ritorno alla natura liberamente ispirato a «Bouvard e Pécuchet» di Gustave Flaubert, Giuseppe Battiston è anche il protagonista insieme a Rolando Ravello. Ma torniamo a teatro. Se è vero che «La valigia» di Dovlatov è metafora della condizione umana all’esilio, espressione di quel sentirsi migranti dello spazio e del tempo che connota l’esistenza nella fuga degli anni (emigriamo dalla nostra giovinezza, da un passato fatto di persone, di immagini, di episodi e sentimenti), questo testo ci dice anche che la parola, il suono, l’immagine che con la parola evochiamo, insomma i ricordi hanno la forza di immortalare e resuscitare ciò che è stato. Una sorta di potere magico e forse salvifico, che diventa, nei gesti e nella voce di Battiston, il potere del teatro. Ecco allora il «gioco» (ma si sa che il gioco è una cosa serissimna) della scelta di un numero limitato di cose che, alla vigilia di una partenza che porta il marchio dell’irreversibilità, si sceglie di portare con sè. Una volta fatta la lista, a ogni coppia di cose va associato un ricordo. A ogni coppia di ricordi, un sentimento. Attraverso gli oggetti e i ricordi che questi attivano, Battiston dà vita a una serie di personaggi che riemergono dalla memoria: uomini e donne raccontati con il filtro della distanza, della distorsione e della comicità, in un crescendo di pathos che coinvolge e travolge. Proprio in questo passaggio tra presente e passato, si articola lo spettacolo che usa come dispositivo di racconto e di evocazione uno studio radiofonico, attingendo alla storia di Dovlatov giornalista e reporter. Un testo per provare a dissacrare il sacro; per imparare a rispettare ciò che rispettabile non è, per capire che, a dispetto di ogni logica, i valori umani esistono solo al di fuori delle convenzioni. •.

Alessandra Galetto

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