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TEATRO CAMPLOY

«Macbettu», la parola diventa un canto arcaico

Una scena di Macbettu che andrà in scena al Camploy
Una scena di Macbettu che andrà in scena al Camploy
Una scena di Macbettu che andrà in scena al Camploy
Una scena di Macbettu che andrà in scena al Camploy

Arriva stasera anche a Verona lo spettacolo che ha fatto il giro di mezzo mondo raccogliendo riconoscimenti e premi, tra cui, nel 2017 il prestigioso Ubu. Il Teatro Camploy riapre quindi con «Macbettu» alla sua duecentesima replica. Rischiavamo di perderlo causa Covid, invece stasera alle 20.45 il lavoro di Alessandro Serra irrompe in tutta la sua straordinaria crudezza linguistica. Lo spettacolo è una potente riscrittura del Macbeth orchestrata sulla lingua arcaica, musicale, sonora del sardo. In uno spazio scenico abitato da pietre, ferro, pane carasau e residui di antiche civiltà nuragiche, la parola shakespeariana splende in tutta la sua forza. Qui il maschile (tutti uomini gli attori come nella tradizione elisabettiana) contribuisce a dirottare sugheri e campanacci in uno scenario visionario e onirico. Difficile, ostico per la lingua ma straordinario per la sua espressività, Macbettu esce dalla Scozia per arrivare in Barbagia tradotto e riscritto da Giovanni Carroni. «Lo spettacolo», spiega il regista, «è recitato nella lingua di mio padre, il sardo barbaricino. La parola significa, canta e agisce su chi ascolta e così le immagini. In scena si accendono gli archetipi. Guardandoli e vivendoli ogni sera, si impara a non confondere l'essenziale con il transitorio. Una presa di coscienza delle mie origini ma al contempo dell'origine stessa del teatro». Dioniso e i suoi riti bacchici e sanguigni sembra presiedere una teatralità carnale e viscerale. Vino e sangue invadono una scena asciutta e cruda.«Abbiamo lavorato sulle analogie, sulla natura arcaica dei carnevali barbaricini, sui segni iconici, sugli archetipi, sui codici culturali, andando oltre la maschera e il folklore, quasi con un'operazione di 'espianto di aura», spiega Serra.Uomini con maschere e uomini senza maschere tra elementi primordiali. Di fronte ai carnevali sardi lo spettatore s'imbeve di una visione: uomini a viso aperto si radunano con uomini in indumenti tetre e i loro passi cadenzano all'unisono il suono dei sonagli che portano addosso. «Quell'incedere di ritmo antico, un'incombente forza della natura che sta per abbattersi placida e al contempo inarrestabile: la foresta che avanza». Il messaggio del Bardo ancorandosi così a motivi antropologici alle radici stesse dell'umanità si fa sorprendentemente universale.

SIMONE AZZONI

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