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«Ho reinventato l'Aida ma l'ho sempre temuta»

di Gianni Villani
GIANFRANCO DE BOSIO
Il regista Gianfranco De Bosio in Arena per «Aida»
Il regista Gianfranco De Bosio in Arena per «Aida»
Il regista Gianfranco De Bosio in Arena per «Aida»
Il regista Gianfranco De Bosio in Arena per «Aida»

Ancora Aida per Gianfranco De Bosio, in quella edizione storica del 1913, che seguirà immediatamente l'apertura della 90a stagione areniana, a partire dal prossimo sabato 23 giugno. Un'Aida, che nonostante gli ormai cento anni di vita, non dà ancora segni di stanchezza scenica. E rivederne la genesi ed il ripristino, col regista veronese che di fatto l'ha riportata in scena dal 1982, ti vengono subito a mente i grandi ricordi e i successi, pur tra alcuni contrasti e difficoltà oggettive.  Instancabile De Bosio, tra rievocazioni e voglia di nuovi progetti: lasciarlo raccontare è un vero incanto e soprattutto ti fa nascere il rimpianto per un tempo trascorso troppo velocemente.

Ma a chi venne quell'idea di proporre l'allestimento del 1913?
Al sovrintendente Carlo Alberto Cappelli. Da due anni mi ripeteva continuamente il desiderio di avermi in Arena. Era il luglio del 1981 quando mi consigliò di andare a vedere la mostra di Ettore Fagiuoli «Scenografie in Arena e Acqueforti veronesi». "E poi ci sentiamo a settembre", aggiunse. Ci lasciammo con questo appuntamento. La mostra parlava chiaramente delle tendenze della scenografia d'opera in Arena, ne affermava le tendenze iniziali, gli sviluppi, le variazioni. Sorprendeva nell'esame delle opere esposte, la semplicità e il rigore. Lo spazio areniano attirava e respingeva subito, presumeva un'affluenza sbalorditiva di pubblico che insieme spaventava e affascinava.

Quando vi siete poi rivisti?
Già il primo settembre. Aveva fretta, ma ebbe il tempo di dirmi che aveva pensato di riprendere l'Aida del '13, dal momento che erano stati ritrovati alcuni disegni esecutivi. Ti va di farla?, mi domandò. Sì, risposi; siamo d'accordo e bastò una stretta di mano. Cosa rispondere se non sì? Così ebbe inizio la regia di questa Aida, la mia prima regia di Aida, di un'opera che avevo sempre temuto fra tutte, perché troppe edizioni ne avevo viste e spesso deludenti, in Arena e fuori Arena. Un capolavoro che rappresentava anche per me, come per i veronesi, la stessa essenza dell'opera lirica: «Che Aida andemo a védar stasera in Rena?

Cosciente di andare incontro anche a un grande ostacolo interpretativo?
Mah! Non credo che mi sarei mai adattato a mettere in scena Aida se non si fosse trattato di un'Aida da ricostruire, da ritrovare e soltanto alla fine da reinventare. Né avrei probabilmente accettato, se non avessi sentito nel nucleo inventivo della scenografia di Fagiuoli, un germe della concezione che aveva ispirato la grande stagione del 1969 quando come sovrintendente presi per la prima volta le redini dell'Arena. Non avevo dimenticato che allora Luciano Damiani, nel citare la sua tanto discussa Aida «spoglia» di quell'anno, si era ispirato ai disegni ed al concetto dello spazio, anzi della scenografia nello spazio areniano, del primo spettacolo del 1913.

La sua regia, dopo tante prove ha subito qualche variante?
Di varianti da fare ce ne sono sempre, soprattutto per lavorare sugli interpreti che hai di fronte. Non tutti hanno la stessa corporatura, non tutti hanno la stessa età. Certo se hai da fare con gente giovane trovi spunti migliori. Sul resto, sull'intervento delle comparse, del coro… beh! La formula si è ormai consolidata. Mi piace tanto che per le masse corali sia ritornato un esperto maestro come Armando Tasso.

Quale altro allestimento in Arena è avvicinabile a questo del '13?
Ricordo bene quelli messi in piedi da Giulio Coltellacci nel 1971 e 1972. Molto maestosi, molto areniani. Anche Vittorio Rossi, con me nella prima Aida rievocativa del 1982, ne ha costruiti di molto interessanti. Era un grande esperto dell'anfiteatro.

Si parla tanto di due «Aide» per il centenario del 2013, oltre a quella tradizionale, ci sarà probabilmente quella della compagnia catalana Fura dels Baus. Lei è d'accordo? D'accordissimo. Ne ho parlato anche col sovrintendente Girondini. Penso sia un'eccellente idea. È l'interpretazione di un teatro totale, che sfrutta le moderne tecnologie, fondendole prevalentemente con un linguaggio del corpo. È giusto che si propongano anche linguaggi nuovi. Poi vedremo sul campo chi sarà il migliore.

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