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La corsa del costo degli alimentari

Prezzi in salita, perché i rincari e chi decide. «Così la filiera non regge»

La corsa dei prezzi alimentari parte dallo start, in Borsa Merci. E cresce in progressione inarrestabile fino allo scaffale o al banco frigo del supermercato. Le dinamiche, però, non sono sempre comprensibili. Da una parte i produttori non riescono più a sostenere i costi, come dimostrano la recente protesta dei produttori di mele a Zevio e l’affondo sulle quotazioni di energia, fertilizzanti, carburanti, mangimi per allevamento di Confagri. L’associazione stima che per coprire queste spese il consumatore dovrebbe pagare 12 euro per un chilo di carne, otto euro per un chilo di albicocche, 2,5 euro per litro di latte, tre euro per chilo di riso. Prezzi completamente fuori mercato, che il cliente finale non si può permettere. 


«La filiera così non regge, i produttori non possono farcela», avvertono gli agricoltori. Coldiretti sostiene da tempo la strategia dei tavoli per gli accordi di filiera, in modo che ogni anello - produttori, trasformatori, distributori – faccia un passo indietro per ripartire equamente il valore tra tutti. Questo mentre a valle la Gdo sostiene di fare già abbastanza, abbattendo i propri margini per far fronte ai rincari di energia, trasporti, logistica, in modo da garantire il miglior prezzo possibile al consumatore, che comunque da tempo controlla gli scontrini e verifica i rincari. 
Il circolo è vizioso e sembra senza vie d’uscita. Tanto che a fronte dell’ennesimo balzo di luglio, calcolato da Istat per Verona in un +9%, in media da inizio anno; +11% per gli alimentari, l’amministrazione comunale di palazzo Barbieri ha deciso di scendere in campo, per varare contromisure, facendo squadra con le categorie economiche e di dar vita ad un tavolo che pianifichi modalità di intervento. 

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Quotazioni e materie prime Se l’inflazione va a incidere sui consumi e quindi sulle famiglie, l’aumento delle materie prime alimentari va ad erodere i margini delle aziende agricole che le produce e in parte quelli di chi le trasforma (l’industria alimentare) e infine di chi li distribuisce. Tutti concordano che non si devono deprimere troppo i consumi e che quindi qualche sacrificio ogni componente della filiera lo deve fare. Ma chi ha guadagnato di più finora? Chi sta producendo in perdita? Chi, soprattutto, deve gestire e disciplinare la filiera? Oppure lasciamo che decida il mercato (e in certi casi la speculazione)?
Intanto, per cercare di capire se e quanto i prezzi sono aumentati all’origine, L’Arena mette a confronto le quotazioni di luglio 2021 e 2022 degli alimentari alle Borse Merci di Verona e Mantova. Infine annota l’incremento percentuale che questi prodotti hanno subìto nello stesso arco di tempo, nei punti vendita così come rilevato dall’Unione nazionale consumatori (su rilevazioni Istat). Ne risulta come tutti i prodotti all’origine abbiamo subito rincari spesso notevoli, ad eccezione di qualche rara voce. Rincari che però non si sono proporzionalmente proiettati sullo scaffale. Ecco qualche esempio. 


Dal pollo a farina e uova La quotazione del pollo base è passata agli attuali 1,50 euro al chilo (a luglio 2021 era a 1,15 euro al chilo) per un incremento medio del 30,4%. Secondo l’Unc però il prezzo allo scaffale è contenuto al +15,7%. I tacchini arrivano a 2,18 euro il chilo (erano a 1,39 euro) per un aumento in Borsa del 56%. La carne rossa si attesta a 4,9 euro al chilo (4,1 euro un anno fa); +19,5%. Per quanto riguarda tutti i prodotti della zootecnia è da evidenziare che anche il mangime ha aumentato il proprio prezzo del +43,3% in un anno e ciò influisce sulla quotazione finale. Il latte tricolore ora vale 0,65 centesimi a litro (0,40 a luglio 2021) +62,5%; ma allo scaffale il prezzo per il consumatore finale è salito del +15,9% a litro. Ha preso il volo il burro mantovano pastorizzato: 5 euro al chilo, +138,1% in Borsa e +31,9% al supermercato. Le uova da allevamento in gabbia o a terra per 100 pezzi valgono rispettivamente 13,52 euro (+40,5%) e 16,22 euro (+30,4%) all’origine, risentendo dell’aggravio dei costi di allevamento. Al dettaglio però il cliente finale le paga un +13,8% in più rispetto ad un anno fa. Tra i prodotti più comprati e consumati anche la farina 00 per pane, dolci e pasta fresca, che in Borsa è a 0,66 centesimi (+34,7%) al chilo e tra gli scaffali della Gdo ha subito un rincaro del +21,5%. Monitorato il riso (vialone) a 2,63 euro (+81,4%) al chilo in Borsa che però al consumatore finale costa +18,8%. L’olio di girasole arriva a 1,82 euro a litro (+35,8%), ma in questo caso il prezzo al supermercato è volato del +66%. 

 

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Infine qualche esempio per l’ortofrutta. Le zucchine sono quotate 0,62 centesimi al chilo, rincarate del +61,9% in un anno in Borsa Merci. Secondo l’Unc, però, i vegetali freschi al banco della gdo sono balzati del +12,1%. Le albicocche addirittura sono quotate 0,85 centesimi, -5,5% rispetto ad un anno fa e risulta inspiegabile che qualcuno dal fruttivendolo possa pagarle di più. Idem per le pesche nettarine gialle a 0,82 al chilo (-4,6%). Aumenta invece già in Borsa il prezzo delle mele (golden) e delle pere (abate) rispettivamente a 0,74 centesimi al chilo (+131,2%) e 1,65 euro (+153,8%). Per questa frutta si pone un problema di remunerazione del produttore, che non coincide sempre con il grossista che si occupa della quotazione del prodotto. 

Valeria Zanetti

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