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Partite Iva in aumento a Verona Un terzo aperte da ex dipendenti

La pandemia non ha fermato l'autoimprenditorialità. Nel 2020 in Veneto sono state aperte 37.392 partite Iva: la fetta più consistente, il 21,9% nella provincia di Verona, il 21,3% nel Trevigiano e il 20% nella provincia di Padova. A seguire, con percentuali inferiori, gli altri territori veneti. Tassazioni agevolate, come quelle previste dal regime forfettario, certamente hanno dato e continuano a dare una spinta. Ma c’è anche altro. Se circa i due terzi di queste nuove aperture - secondo stime della Cisl di Verona - sono legati a scelte professionali precise e volontarie, resiste quello zoccolo duro che evidentemente è pure cresciuto con la pandemia, legato alla necessità: lavoratori ex dipendenti, cioè, che per tenersi stretto l’impiego sono stati costretti a farsi una partita Iva. Tornando ai numeri, la provincia scaligera ha registrato lo scorso anno un incremento di aperture, cresciute dell'1,4% rispetto al 2019. Tutte le altre province, ad esclusione di Treviso che ha riportato un +12,6%, hanno avuto una flessione, con la conseguenza che in media in Veneto nel 2020 le nuove partite Iva sono state il 5,3% in meno rispetto all'anno pre Covid. È quanto emerge dalla ricerca della Fondazione Corazzin, il centro studi di Cisl Veneto, che ha indagato appunto il lavoro indipendente e il lavoro atipico in Veneto: lo studio è stato presentato nei giorni scorsi durante il secondo Congresso regionale di Fist Cisl Veneto. E c'è un ulteriore dato che traccia l'andamento del 2021: se si guarda ai pochi dati ad oggi disponibili, in Veneto nel periodo gennaio-settembre si è registrata l’apertura di 40.462 nuove partite Iva contro le 27.877 aperte nello stesso periodo del 2020, con una crescita nei due anni del 45,1%. Le motivazioni «Dal nostro osservatorio», spiega la Felsa Cisl di Verona, la sigla che si occupa dei lavoratori autonomi e atipici, «sono tre le motivazioni del primato che caratterizza la provincia scaligera: la prima è legata alla leva fiscale cioè al regime forfettario che abbatte i costi con le agenzia delle entrate». Insomma, per dirla in sintesi: si pagano meno tasse. «Secondo punto: bisogna considerare che almeno un terzo di queste aperture sono partite Iva involontarie. Il riferimento è a quei molti ex lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che si sono trovati obbligati ad aprirla altrimenti sarebbero rimasti a casa senza lavoro». Terzo punto, secondo la Felsa Cisl di Verona, «c’è una minoranza per la quale la partita Iva è una scelta imposta dai vari committenti». Nell'anno della pandemia il numero delle nuove aperture di partite Iva, dopo una significativa risalita nel 2019, è calato di quasi 2mila unità: da 39.483 a 37.392, cifra che ha fissato quelle del Veneto all’8% del totale di nuove aperture avvenute nel 2020 in Italia. Nel dettaglio, del totale di nuove attività avviate lo scorso anno, il 35,3% ha riguardato persone non fisiche, mentre il 64,7% persone fisiche. E, circa queste ultime, emerge un elemento interessante: il 45,6% è costituito da under 35, segnale che secondo Fondazione Corazzin è «rivelatore della loro voglia di autoimprenditività». La risalita «Serve anzitutto conoscere di più questo perimetro di lavoratori e seguirne i cambiamenti», ha detto intervenendo al congresso Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, «mettendo a fattor comune le informazioni disponibili da parte delle diverse istituzioni. Si tratta del 22-23% della forza lavoro della nostra regione, vale a dire una persona su cinque. È poi necessario», ha concluso, «monitorare e valutare l’efficacia delle politiche messe in campo per queste tipologie di lavoratori». •.

Francesca Lorandi

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