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Verso l'estate

Lago e città, tornano i turisti ma mancano all'appello oltre 6mila lavoratori

Tornano i turisti, ma mancano all'appello 6mila lavoratori nel settore
Tornano i turisti, ma mancano all'appello 6mila lavoratori nel settore
Tornano i turisti, ma mancano all'appello 6mila lavoratori nel settore
Tornano i turisti, ma mancano all'appello 6mila lavoratori nel settore

La stagione turistica sta vivendo un ottimo anticipo in città e sul Garda con un rimbalzo che fa presagire il ritorno ai numeri del pre-Covid, ma le attività economiche (dagli alberghi ai ristoranti e alle altre strutture ricettive) sono preoccupati di non riuscire a reggere questa richiesta. Gli arrivi e prenotazioni (in particolare italiani ed europei) fanno prospettare bilanci ampiamente in recupero sul biennio segnato dall’emergenza sanitaria. Ma tutte queste aziende, alle porte della stagione estiva, stanno facendo i conti con una significativa carenza di personale. «Manca almeno il 15% dei lavoratori, sia nell’alberghiero, che nella ristorazione, che nel commercio legato al turismo», afferma Ivan De Beni, il presidente di Federalberghi Garda Veneto.

Se ci si basa sulla situazione registrata alla fine del 2019, anno record per Verona e provincia (compreso il Garda) dalla Camera di Commercio, risulta che mancano quindi all’appello quasi 6.200 degli oltre 41.000 addetti che erano presenti nelle 7.450 aziende del settore. Una cifra, quest’ultima, che comprende anche le imprese individuali e quelle in cui lavoravano parenti e familiari dei titolari. «Con la pandemia abbiamo perso gran parte dei nostri stagionali», aggiunge De Beni. Il quale non manca di sottolineare che, quando le cose andavano bene, c’erano imprenditori che se ne approfittavano per pagare poco i lavoratori e spiega che la situazione attuale è dovuta, anche, al fatto che l’occupazione in ambito turistico non viene più considerata stabile.

Secondo i dati registrati da Veneto Lavoro, nei primi quattro mesi del 2021 sono stati guadagnati nella nostra regione 37.000 posti di lavoro, ma, anche se si tratta di situazioni molto migliori di quelle riscontrate nello stesso periodo negli ultimi due anni, ad aprile è stato registrato un rallentamento nelle assunzioni. Nello scorso mese in Veneto i nuovi ingressi sono stati 56.200, +68% sul 2021 (14.525 a Verona) e 208.600 da inizio anno (53.734 in provincia). Essi riguardano per lo più donne e giovani. Il 30% dei contratti siglati sono part-time, quasi la metà nel caso delle donne. In aumento anche le cessazioni, 42.500 ad aprile (+54%) e 171.600 nel quadrimestre (+43%). La metà per chiusura di tempi determinati e un altro 40% circa per dimissioni. Infine, i disoccupati iscritti ai Cpi, sono risultati 279.463. Di questi, 37.135 si sono aggiunti negli ultimi quattro mesi (7.755 a Verona), cui si aggiungono circa 108.000 persone che sono occupate con impiego compatibile, per ragioni di durata o di reddito, con la conservazione dello stato di disoccupazione. 

«Tutte le attività che nel Veronese hanno a che fare con i turisti si trovano a dover contare su almeno una o due figure in meno del necessario, in tutti i vari ambiti di attività», rimarca Paolo Artelio, che è presidente della sezione turismo di Confcommercio. «Questa situazione è dovuta principalmente al fatto che molti nostri collaboratori, nei mesi di emergenza sanitaria, si sono trovate occupazioni in altri settori che ora è quasi impossibile trovare del personale formato”, aggiunge. A suo avviso, quindi, la situazione attuale non è dovuta a mancanza di voglia di fare, bensì a problemi di natura strutturale. 

Una tesi, quella di Artelio, che non è sulla stessa linea d’onda di Giulio Cavara, che è presidente di Federalberghi Verona e vice-presidente del sodalizio in Veneto. «Stiamo parlando di un problema nazionale che si è iniziato a sentire già lo scorso anno», dice. Affermando che, a suo avviso, a pesare è la scelta di alcuni lavoratori di accontentarsi del reddito di cittadinanza senza cercare un altro vero posto, ma «magari puntano ad arrotondare con quale lavoro in nero», ed il fatto che «tanti hanno scoperto che stare a casa il sabato e la domenica è piacevole, e non vogliono più tornare indietro». E non solo, c’è infine anche, ma non ultimo, il tema della formazione e professionalità. «Trovare lavoratori preparati è difficilissimo e le aziende spesso sono costrette a formarli in casa, con un aggravio di spesa che si aggiunge a quelli dovuti ad energia e materie prime», conclude.

Luca Fiorin

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