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L'INTERVISTA

L'Aia continua a crescere «Il segreto? Innovare»

di Paolo Dal Ben
Il presidente Bruno Veronesi: «Conquistate nuove quote in Italia e all'estero. Ma radicati a Verona, qui che eroghiamo molte risorse»
Il sito produttivo dell'Aia a San Martino Buon Albergo È stato creato nel 1970 quando la famiglia Veronesi decise di diventare produttore avicolo
Il sito produttivo dell'Aia a San Martino Buon Albergo È stato creato nel 1970 quando la famiglia Veronesi decise di diventare produttore avicolo
Il sito produttivo dell'Aia a San Martino Buon Albergo È stato creato nel 1970 quando la famiglia Veronesi decise di diventare produttore avicolo
Il sito produttivo dell'Aia a San Martino Buon Albergo È stato creato nel 1970 quando la famiglia Veronesi decise di diventare produttore avicolo

Bruno Veronesi è presidente dell'holding di famiglia che controlla il quarto gruppo agroalimentare italiano e la prima realtà produttiva industriale veronese locale. Abbozza un sorriso, non parla molto ma le sue parole rimandano a fatti concreti e a cifre precise. Fatti e cifre che raccontano una realtà imprenditoriale che affonda le radici nella Valpantena dal lontano 1500, quando la Serenissima certificò l'attività del mulino dei Veronesi a Lugo. Ieri, i vertici societari e manageriali del gruppo hanno presentato alle banche, nell'incontro annuale, i dati del bilancio della Veronesi Holding che controlla fra le altre Aia, detentrice dei marchi Aia, Negroni, Fini e Veronesi Mangimi.
Il fatturato 2014 sfiora i 2,9 miliardi di euro, con volumi in crescita del 2,5% e un Ebitda di 152 milioni, e soprattutto un balzo del 15% delle esportazioni per un valore totale di 424 milioni, pari al 15% del fatturato totale. Il tutto con 7.500 dipendenti e 8.500 persone nell'indotto per un totale di 16mila addetti. Questi numeri confermano la solidità di un'impresa che coraggiosamente continua a fare utili e distribuire ricchezza qui in Italia e a Verona in modo particolare, anche se la quota estera è in progressiva crescita.
Con il presidente abbiamo parlato di strategie e del come si è arrivati a questi numeri.
Presidente, tutti dicono che la ripresa passa attraverso le esportazioni, ma voi continuate a crescere nonostante la crisi dei consumi interni e del mercato europeo in generale….
Ebbene sì, noi per la particolarità del nostro business, siamo radicati qui sul territorio. Qui abbiamo creato tutta la filiera, la produzione di mangimi, gli allevamenti. Abbiamo 15 siti produttivi in Italia e da decenni riversiamo sul territorio importanti risorse. Ogni anno, abbiamo calcolato, eroghiamo oltre 844 milioni di euro a tutti i 16mila addetti, tra dipendenti diretti, collaboratori dell'indotto come trasportatori, allevatori e agenti, ma anche molti altri.
Come chiudete il 2014?
Si sono abbassate le materie prime anche per il calo del prezzo del petrolio. Buona parte del prezzo del nostro prodotto è data dalle materie prime del mangime e ciò influisce molto sui ricavi. In termini di fatturato siamo quindi stabili rispetto al 2013 con volumi, però, aumentati di circa il 2,5% e con un aumento sostanziale in termini di redditività. Anche nell'anno trascorso, abbiamo cercato quindi di distinguerci nello sviluppo dei prodotti elaborati, würstel, affettati, arrosti, cibi cotti, dal Wudy al Dakota passando attraverso Aequilibrium e il kebab. Su queste linee spingiamo molto e siamo con soddisfazione leader.
I consumi come stanno andando?
In Italia sono piatti, anche quelli di carne avicola. La crisi sicuramente ha influito sugli acquisti anche alimentari dei consumatori.
Avete migliorato l'Ebitda e i margini...
Sì, nel 2014 abbiamo segnato un +8,8% a volume dei prodotti a marchio nostro nella grande distribuzione italiana, conquistando nuove quote e valore sugli scaffali. È stata questa la migliore performance tra i primi 25 gruppi alimentari italiani.
Le tappe più importanti che hanno permesso la crescita del gruppo…?
Mio padre Apollinare ha fatto la prima diversificazione della nostra storia, iniziata nel 1500 con i mulini, nel 1958. Si insediò a Quinto con il nostro primo mangimificio. Ma, se ci fossimo fermati lì, non saremmo cresciuti. Abbiamo fatto quindi un secondo fondamentale passo con l'Aia, fine anni Sessanta, e nel 1970 a San Martino Buon Albergo. E perché la creammo? Perché avevamo perso il nostro primo cliente, il Pollo Arena, che si era fatto il suo mangimificio. Era un mestiere che non conoscevamo. Dovemmo imparare ogni cosa: dagli allevamenti, all'industria alimentare, al marketing. Fu un lavoro complesso ma necessario per arrivare nel migliore dei modi al consumatore finale. Io sono entrato in Aia nel 1974 come amministratore delegato. L'azienda era ancora in rodaggio e alcune cose non andavano ancora alla perfezione.
Cosa non andava?
Dovevamo migliorare le tecniche dell'allevamento, la comunicazione e anche la logistica, mentre andavamo già bene nella macellazione. Abbiamo iniziato a vendere i nostri prodotti prima di tutto al Sud, dove il Pollo Arena non era presente, poi pian pianino ci espandemmo su tutto il territorio nazionale.
Come avete conquistato il mercato?
Abbiamo battuto i nostri concorrenti soprattutto con l'innovazione, in modo particolare dalla fine degli anni Settanta con i primi panati ma soprattutto con prodotti, allora innovativi come il Wudy, il würstel di pollo. L'idea ci venne dopo un mio viaggio in America con i miei più stretti collaboratori, così come pure la linea Aequilibrium, nata dopo un viaggio negli Usa. Ma la nostra crescita è stata fatta anche con le acquisizioni, con la continua innovazione di prodotto ma anche di processo, con grossi investimenti in tecnologia. Per produrre il Wudy abbiamo ideato dei forni continui che cuocevano non i singoli würstel ma un unico impasto che era cotto, spellato e confezionato in modo automatico. Il tutto era accompagnato allora da una martellante campagna di comunicazione. Così siamo riusciti ad imporre il würstel di pollo, che oggi èil primo würstel sulle tavole degli italiani.
Il primo Carosello sulla Rai?
Siamo partiti con la carta stampata e poi siamo approdati alla Tv e alla Rai, prima con Pollo Aia e poi con il tacchino.
La crescita è avvenuta anche con le persone. Quando avete deciso di managerializzare l'azienda?
Con l'aumento delle dimensioni abbiamo sentito l'esigenza di delegare alle persone l'operatività crescente. Iniziò già mio padre, poi noi come seconda generazione, abbiamo proseguito nell'impostazione manageriale del nostro gruppo, cercando di tracciare un percorso ben definito anche per il nostro futuro. Se vuoi crescere devi dare fiducia e autonomia alla gente.
Margini di crescita in Italia?
Le potenzialità ci sono. I consumi di pollo e di carni bianche in Italia sono inferiori rispetto agli altri paesi europei, e dagli ultimi studi emerge che il pollo è migliore dal punto di vista dietetico, ha meno costi di produzione ed è amico della terra: un chilo di carne di pollo ha bisogno di soli 1.500 litri d'acqua mentre per un chilo di carne di bovino ne servono 28 mila litri. E bisogna continuare a innovare prodotti e tecnologia, per proporre piatti sempre più appetibili.
Forse con qualche altro viaggio in America? (Veronesi sorride con gli occhi)
Eh sì, ma magari anche in altri posti.

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