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PREVIDENZA

«Stipendi più bassi e pensioni misere»: con il sistema contributivo a Verona calo del 37%

Era il gennaio del 2012 e il sistema contributivo diventava l’unico metodo di calcolo per la prestazione pensionistica. Una trasformazione che, nell’immediato, creò situazioni differenti: per i più giovani che avevano cominciato a lavorare dopo il 1995 – anno di entrata in vigore della riforma Dini – la pensione sarebbe stata tutta calcolata col metodo contributivo. Per gli altri invece si aprivano più ipotesi, in base all’anzianità di servizio maturata al 31 dicembre 1995.

 

La fotografia dello Spi Cgil Oggi, in pieno dibattito politico sulle pensioni, lo Spi Cgil di Verona scatta una fotografia della situazione in provincia, mettendo in rilievo la «forbice» creata dai due diversi sistemi previdenziali: nel Veronese sono 12.825, circa il 6 per cento del totale, le pensioni pagate con il contributivo «puro», cioè calcolate sulla base dei soli contributi versati.

 

La gestione separata La grande maggioranza, pari a 9.512 pensioni, con importi medi di 228,68 euro, appartiene al fondo dei lavoratori parasubordinati, una categoria spuria (né dipendenti né autonomi) istituita nel 1995 con l’introduzione della «Gestione Separata» dell’Inps nel tentativo di tenere insieme un mercato del lavoro in continuo smottamento.

 

I diversi fondi «Nel medio periodo», commenta Adriano Filice, segretario generale Spi Cgil Verona, «il contributivo puro è destinato a diventare maggioritario in tutti gli altri fondi pensionistici quali ad esempio lavoratori dipendenti, commercianti, artigiani, con risultati che sono già sotto ai nostri occhi: se, ad esempio, prendiamo il fondo dei lavoratori dipendenti constatiamo che l’importo medio delle pensioni erogate con il contributivo puro risulta del 37 per cento più basso rispetto all’importo medio delle pensioni pagate con il vecchio sistema retributivo. L’assegno medio mensile passa infatti dai 1.132 euro mensili del precedente regime ai 709 euro medi mensili del nuovo».

 

Le riduzioni Analoghe riduzioni conoscono gli altri fondi, dagli artigiani passati da una media di 957 euro a 565 euro (-40%), ai commercianti, da 904 euro a 526 (-41%). Secondo il sindacato la forbice si allargherà ulteriormente nei prossimi anni e quel 37% si alzerà come conseguenza del tipo di percorso lavorativo che caratterizza le nuove generazioni, più esposte rispetto al passato a buchi contributivi, periodi di disoccupazione o inattività dovuti a precarietà del lavoro, instabilità del quadro economico, ma anche necessità di conciliare lavoro e famiglia dal momento che, su questo tema, non sono stati fatti progressi. Lo sottolinea anche Filice: «Le donne e i giovani oggi pagano il prezzo più alto della profonda trasformazione del mondo produttivo e della risposta che si è data a questa trasformazione con una precarietà che è diventata precarietà di vita. La vita lavorativa delle giovani generazioni è infatti costellata da precarietà, lavoro parasubordinato illegittimo, lavori a chiamata, buchi contributivi. A retribuzioni misere, discontinue», prosegue, «corrisponde non solo una pensione povera, ma anche un sistema previdenziale debole e una società vulnerabile».

 

Donne e giovani Inutile appendersi alla diatriba tra retributivo e contributivo: il sindacato lo sa. E fa allora delle proposte: «Una pensione di garanzia per i giovani e un riconoscimento concreto al lavoro di cura ad esempio con 12 mesi di anticipo pensionistico per ogni figlio. Come sindacato dei pensionati, riteniamo che i provvedimenti dell’attuale Governo siano totalmente insufficienti soprattutto perché non si dà un futuro previdenziale equo ai giovani e alle donne che in questi anni hanno pagato un prezzo altissimo».

Francesca Lorandi

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