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occupazione

Record di dimissioni a Verona. E solo sette giorni per la ricollocazione

La provincia scaligera prima in Veneto per abbandoni dal lavoro con contratto indeterminato. Da 15.505 nel 2016 a 27.325 nel 2022. Motivo: la grande richiesta di personale nei servizi (turismo) e manifattura (metalmeccanica)
Nel 2022 27.315 veronesi dipendenti hanno deciso di interrompere il loro percorso lavorativo
Nel 2022 27.315 veronesi dipendenti hanno deciso di interrompere il loro percorso lavorativo
Nel 2022 27.315 veronesi dipendenti hanno deciso di interrompere il loro percorso lavorativo
Nel 2022 27.315 veronesi dipendenti hanno deciso di interrompere il loro percorso lavorativo

La «Great resignation», ovvero le grandi dimissioni come è stato ribattezzato negli Usa anche nel Veneto. Dopo il Covid il mondo del lavoro non è più stato lo stesso. A provarlo un approfondimento dell’Osservatorio di Veneto Lavoro, che fa il punto sulle uscite da contratti a tempo indeterminato, le posizioni di lavoro più sicure che si lasciano con più cautela.

Ovunque l’anno scorso le dimissioni in regione, complessivamente 137.300, hanno raggiunto il loro livello più alto dal 2008: sia in riferimento al volume registrato, (+35% sul 2019; +15% sul 2021), che al peso sul totale delle cessazioni a tempo indeterminato (62% nel 2019 e 70% nel 2021).

Il Veronese è il territorio in cui la quota più elevata di dipendenti ha deciso di interrompere il proprio percorso lavorativo, 27.315 in 12 mesi, dopo un 2021 già abbastanza pesante con 23.830 uscite. Seguono Treviso (26.445) e Padova (26.150). Ciò non significa che in provincia il fenomeno delle grandi dimissioni sia stato più intenso che altrove. Occorre sempre leggere il dato alla luce del volume di assunzioni e cessazioni totalizzate nei 12 mesi rispetto ad altre province.

Mercato dinamico

Il mercato del lavoro in riva all’Adige è infatti tra i più dinamici se non in assoluto il più performante del Veneto. Tuttavia, confrontando il totale dei contratti stabili stracciati si può notare che solo nel 2008 si era sfiorata quasi la stessa soglia di dimissioni, 27.145. Nel 2014, invece, il livello minimo di 14.455 abbandoni. Simile il trend di Padova, dove l’anno scorso le dimissioni sono addirittura raddoppiate rispetto al 2013, proprio come in Veneto.

Addio al posto fisso

Ma quali sono le ragioni che hanno spinto tanti dipendenti a dire addio al posto fisso in ufficio o in stabilimento? Secondo i ricercatori di Veneto Lavoro la ricollocazione in un contesto migliore è stata la molla che ha spinto molti addetti al grande passo.

Infatti, l’ingresso in nuove realtà lavorative a una settimana dalle dimissioni ha riguardato il 42% degli interessati, salendo al 56% se si estende l’intervallo a 30 giorni. Entrambi i tassi sono più alti rispetto al 2019 (al 40% e 52%). È dunque presumibile che circa la metà dei dimissionari abbia lasciato il proprio posto di lavoro perché ne aveva già trovato un altro, ritenuto migliore.

 

Il 59% delle dimissioni ha riguardato lavoratori del terziario, principalmente del turismo, ingrosso, logistica e dei servizi alla persona. Settori in cui si fatica a trovare manodopera. Il 40% invece ha interessato gli addetti nell’industria, soprattutto nelle specializzazioni del Made in Italy e metalmeccanico. Il maggior incremento rispetto al 2019 ha riguardato quest’ultimo segmento della manifattura, industrie della chimica, della plastica, della carta e della stampa, commercio al dettaglio, terziario avanzato, sanità e, seppure con un volume più contenuto, nella pubblica amministrazione.

Ricollocamento «lampo»

Gli stessi settori hanno riassorbito i dimissionari in tempi più brevi: 64% entro sette giorni dalla pubblica amministrazione, 57% dal metalmeccanico e dalle utilities, mentre nel turismo risulta più difficile trovare un nuovo contesto lavorativo (30% a sette giorni e 46% a un mese).

L’incremento delle dimissioni ha interessato in misura maggiore le donne, che vedono salire la possibilità di trovare nuovo impiego in una settimana (dal 35% del 2019 al 38% del 2022). Più dell’80% delle dimissioni ha riguardato lavoratori italiani, più veloci nel trovare un altro posto rispetto agli stranieri. In termini di età il 63% dei dimissionari ha tra i 30 e i 54 anni, il 20% è under 30 e il 17% è over 54 anni.

I giovani fanno più fatica a ricollocarsi rispetto agli adulti (43% contro 49%), mentre per molti over 55 spesso le dimissioni precedono l’uscita dal lavoro, quindi le quote di quanti si rioccupano sono molto inferiori. Escludendo questa fascia, le ricollocazioni salgono al 47% a sette giorni e al 63% a un mese dalle dimissioni, con picchi del 70% per gli operai semi-specializzati.

Valeria Zanetti

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