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«Villaggi sociali» l’architettura entra in fabbrica

La villa che veniva utilizzata dal direttore generale dello stabilimento, disegnata dall’architetto Tonzig
La villa che veniva utilizzata dal direttore generale dello stabilimento, disegnata dall’architetto Tonzig
La villa che veniva utilizzata dal direttore generale dello stabilimento, disegnata dall’architetto Tonzig
La villa che veniva utilizzata dal direttore generale dello stabilimento, disegnata dall’architetto Tonzig

Le vicende dell’architettura del Novecento sono state profondamente segnate dall’incontro con l’industria, che per rispondere a esigenze funzionali ha progressivamente definito un linguaggio autonomo. Sotto questa stella nascono le «città sociali», ovvero insediamenti urbani autosufficienti, fortemente legati allo sviluppo economico della nazione, che sorgono per iniziativa di imprenditori privati. In Italia si contano alcune esperienze significative, come quella intrapresa da Andrea Olivetti negli stabilimenti di Ivrea, o la Metanopoli realizzata dall’Eni sotto la guida di Enrico Mattei. Nel secolo scorso anche Verona vantava un suo modello di «città sociale». È la definizione più calzante per il villaggio operaio che ruotava attorno al Lanificio Veronese Fratelli Tiberghien, che prima della demolizione di buona parte della porzione est rappresentava un raro esempio di architettura industriale di inizio Ventesimo secolo ancora conservata nella sua complessità. Molta documentazione tecnica dei fabbricati è custodita dall’Istituto veronese per la storia della Resistenza nel fondo «Tiberghien». Da lì ha preso le mosse la mostra fotografica e documentaria, curata dall’architetto Michele De Mori, che nel 2018 ha fatto da cornice al progetto di valorizzazione dell’archivio «Intrecci di fili, carte e memoria: il Lanificio Tiberghien a Verona» promosso da Ivres, IVrR e associazione Agile con il sostegno di Fondazione Cariverona. Lo stabilimento iniziò la sua attività nel 1907 su un terreno di 70mila metri quadrati nei pressi di San Michele Extra e da subito la sua vita s’intrecciò con quella con quella della comunità. Non solo perché fin dalla nascita il lanificio costruì abitazioni per le maestranze specializzate nel perimetro del complesso, o nelle immediate vicinanze, ma anche perché affiancò interventi edilizi extra-aziendali a ogni fase di ampliamento e avviò numerose iniziative a favore degli operai: dal convitto femminile, che poteva ospitare fino a 250 ragazze, alle Società di mutuo soccorso, la cooperativa di consumo e il circolo ricreativo. Tutte spinte dettate dal principio di «paternalismo aziendale» che caratterizzò l’Italia settentrionale di quegli anni, in massima parte funzionale a prevenire scontenti e controllare la manodopera, ma anche a compensare gli inevitabili disagi delle famiglie legati al lavoro in fabbrica. Nel 1923 vennero edificate 11 nuove abitazioni in via Luigi Tiberghien destinate al personale specializzato proveniente dalla Francia, seguite da altre 12 in via Monti Lessini nel 1927. Anche se l’intervento edilizio più prestigioso fu senz’altro la costruzione della villa per il direttore generale dello stabilimento, al civico 21 di via Unità. Della progettazione dell’edificio, di gusto marcatamente razionalista, si occupò l’architetto Antonio Tonzig nel 1936. Ai primi due piani erano ospitati gli uffici direzionali del lanificio, mentre il terzo piano era a uso abitazione ed è tuttora il meglio conservato, con parte degli arredi originali ancora presenti. All’ultimo livello si trovano due grandi terrazzi racchiusi dalla muratura con aperture ad archi a tutto sesto. Risalgono agli anni Venti e Trenta gli interventi edilizi a favore della classe operaia. Nel 1925 venne istituito il convitto, predisposto per ospitare le giovani lavoratrici provenienti dalla periferia e rimasto in funzione fino agli anni Sessanta, affidato alla gestione delle Suore della Misericordia che avevano il convento a Madonna di Campagna. Nello stesso anno nacquero le Società di mutuo soccorso «Ars et labor» per gli uomini e «Res non verba» per le donne. Invece l’anno successivo venne fondata la Cooperativa di consumo: vi si potevano comprare soprattutto generi alimentari e prodotti freschi, come il pane e la carne, ma nella fase di maggiore sviluppo dello stabilimento vi si trovavano anche le selle per i cavalli, oltre ai tessuti in lana. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Laura Perina

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