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Una «primavera» per l’ambiente

La Cop 27 in Egitto che si è conclusa nei giorni scorsi ha messo in primo piano la redistribuzione delle risorse
La Cop 27 in Egitto che si è conclusa nei giorni scorsi ha messo in primo piano la redistribuzione delle risorse
La Cop 27 in Egitto che si è conclusa nei giorni scorsi ha messo in primo piano la redistribuzione delle risorse
La Cop 27 in Egitto che si è conclusa nei giorni scorsi ha messo in primo piano la redistribuzione delle risorse

I cambiamenti climatici, avvertiti ormai a livello globale, hanno messo in moto energie giovanili e sociali spesso sepolte. La società civile sta facendo ciò a cui la politica ha ormai abdicato: cercare un modello di società sostenibile. Federico Cotugno, giornalista esperto di questioni ecologiche, ha appena dedicato a questo tema un testo avvincente, «Primavera ambientale. L’ultima rivoluzione per salvare la vita umana sulla Terra», pubblicato da Il Margine e nei giorni scorsi ha seguito i lavori della Cop 27, il summit globale sul clima che si è svolto in Egitto. Cos’è questa «primavera ambientale» di cui lei parla nel libro? È una definizione che ho coniato intendendo una rinascita, qualcosa di nuovo che si sta affacciando sulla scena pubblica. I movimenti sociali per il clima sorti nel 2018 sono la notizia più importante a livello globale, a mio modo di vedere. Essi hanno raccolto l’appello della scienza, lanciato ormai da oltre 30 anni, sui limiti del modello occidentale di sviluppo che ci sta portando alla catastrofe climatica. Questi movimenti lo hanno politicizzato, prendendo sul serio l’impegno, davvero unico, di continuare a garantire la vita sulla terra. L’attivismo climatico ha poi allargato il suo spettro di azione alle disuguaglianze, come si è visto molto bene alla Cop 27 a Sharm el Sheik, dove il tema è stato esattamente questo: chi ha inquinato di più, diventando più ricco, come deve ricompensare chi non ha inquinato, ed è rimasto più povero? Greta Thunberg e Papa Francesco: lei li indica come i due punti di riferimento dell’ambientalismo recente. Chi dei due ha inciso di più in questa coscientizzazione? Non saprei scegliere, direi certamente entrambi. Francesco, con la sua enciclica Laudato si’, arriva alcuni anni prima di Greta. Essi parlano di ecologia con schemi e orientamenti di pensiero diversi. Il loro contributo è complementare. Tra queste due figure pubbliche si è instaurata una sorta di diarchia simbolica che però è diventata convergente rispetto ad una presa di coscienza importante: la società civile globale deve compensare ciò su cui la politica è stata mancante. E questo ha determinato un impatto decisivo, con i movimenti sociali sul clima, come i Fridays For Future. Penso comunque che senza Laudato si’ Greta Thunberg non avrebbe avuto il coraggio di fare il suo sciopero per il clima, che ha dato il via al movimento sociale giovanile globale sui cambiamenti climatici. È di qualche giorno fa la notizia che l’università di Barcellona ha reso obbligatorio per tutti i suoi studenti la frequenza a un corso sull’ecologia. Meglio tardi che mai? Certamente è qualcosa arrivato in ritardo, ma vale appunto il detto citato: meglio tardi che mai. Altrimenti, saremmo condannati all’impotenza. Bisognava muoversi 20-30 anni fa e non adesso per estendere una coscientizzazione ecologica così massiccia, ma almeno adesso questo può avvenire. Effettivamente, se la presa d’atto del problema fosse accaduto tre decenni fa, la lotta al cambiamento climatico sarebbe stata condotta in maniera più efficace di quanto avvenga oggi. Però non disponiamo della macchina del tempo e quindi dobbiamo impegnarci oggi. Vi è stato, in realtà, un ritardo e una discrasia tra quanto le «scienze dure» andavano dicendo sul clima e quanto le scienze sociali (sociologia, economica, politica) hanno provato a dire. E così oggi siamo ricchi di soluzioni tecnologiche, perché il global warming si può tecnicamente combattere, ma non abbiamo un quadro ideale, sociale e intellettuale di riferimento. Anche l’arte, la letteratura, il cinema … sono arrivati tardi. Ma ora che la coscientizzazione è avvenuta, dobbiamo agire. Come conciliare sviluppo economico e sostenibilità ambientale? In una terra come il Nordest, sembra difficile far convivere crescita industriale e più rispetto per l’ecologia... Non so come un libro come il mio possa venir accolto in una terra come il Nordest. So però che dobbiamo necessariamente cambiare paradigma e smettere di pensare che la crescita sia infinita: quest’idea va superata, per il semplice fatto che le risorse naturali non sono infinite. La crisi climatica ci dice che il mito della crescita è appunto un mito, non ha appoggi alla realtà. Lo vediamo già nel confronto a livello macro tra Paesi industrializzati e Paese emergenti: l’Occidente ha smesso di crescere come prima. Non si tratta di fare una scelta pauperistica, ma di ridistribuire le risorse. E in questo senso può e deve giocare un ruolo importante il settore pubblico, perché non si possono lasciare le briglie sciolte al settore privato, bensì porre dei paletti perché alcuni beni, come il clima, non sono privati, sono comuni, di tutta la comunità. E quindi non possono essere messi a repentaglio per il vantaggio di qualcuno o di pochi. Questa situazione di crisi climatica ci pone davanti la necessità di cambiare il nostro modello di società.•.

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